LA DENUNCIA – Simone Somekh: L’ipocrisia dei sedicenti antirazzisti

Nei giorni scorsi il mio amico e collega David Zebuloni è stato attaccato online per aver scritto un articolo su una vicenda controversa riguardante l’attivista palestinese Bayan Abu Sultan (nota anche per aver scritto: “Quando vi sentite affranti, riguardatevi i filmati del 7 ottobre”). Zebuloni ha messo in discussione alcuni video dell’attivista in seguito ad un raid dell’esercito israeliano, ma l’odio che si è riversato su di lui si è concentrato in modo particolare sulla kippà che indossa in testa.
Sono decenni che sentiamo ripetere che antisemitismo e antisionismo sono due posizioni ben diverse, ma appena i leoni da tastiera scorgono una kippà, sembrano dimenticarsene.
Su un canale YouTube filoputiniano dedicato alle teorie del complotto, e sul quale è stato recentemente intervistato Alessandro Orsini, una conduttrice ha mostrato il profilo Instagram di Zebuloni soffermandosi su una foto in cui si vede la sua kippà: “Mi pare perfettamente logico”, ha detto in tono sarcastico, “è sicuramente una garanzia di qualità”. Sui social, una valanga di insulti antisemiti: “I manifesti nazisti non hanno mai sbagliato, naso a forma di 6 e orecchie grandi, ringraziamo i nostri antenati che ci permettono di riconoscerli nella vita quotidiana”, oltre a tanti auguri di morte. E ancora: “Di 7 ottobre ce ne vorrebbero 365 ogni anno”.
Ora, mi chiedo: direbbero lo stesso di una giornalista con il velo? Non penso. E qui emerge l’ipocrisia di una certa sinistra, solitamente attenta a denunciare il razzismo, ma cieca — o peggio, complice — quando lo stesso pregiudizio colpisce gli ebrei. Com’è naturale, io e il mio caro amico David non condividiamo ogni posizione sul conflitto in Medioriente, ma è chiaro che questi attacchi siano di natura identitaria e, di conseguenza, razzista.
Nelle ultime settimane, ho avuto scambi piuttosto sgradevoli online con alcuni attivisti italiani LGBTQ che giustificavano e contestualizzavano gli attacchi che la comunità ebraica LGBTQ ha subito durante le marce del Pride in tutta Italia a giugno. A Roma, ad esempio, il carro del gruppo ebraico Keshet è stato accolto da grida di “assassini” e “terroristi”.
C’è un pezzo di sinistra che insiste che, per partecipare alla vita pubblica, un ebreo debba prendere posizione contro Israele. Io, come molti, non sostengo né condivido molte delle azioni e delle dichiarazioni, talvolta aberranti, del governo israeliano. Ma non penso sia giusto che il mio diritto di parola, di esistere e di partecipare alla vita pubblica, venga subordinato a tutta una serie di condizioni.
Per oltre vent’anni, la stessa sinistra ci ha spiegato, giustamente, che chiedere ad un musulmano qualsiasi di condannare la jihad o l’11 settembre è una pretesa razzista. Ora le stesse persone vogliono riscrivere le regole, dimostrando la propria ipocrisia quando si tratta della comunità ebraica.
L’antisemitismo oggi arriva sia da destra che da sinistra. A molti sembrerà un’affermazione scontata, ma risulta sempre più evidente l’importanza di ricordarlo. A Torino, il gruppo neofascista Avanguardia si riuniva per fare saluti romani, inni a Hitler e cori antisemiti. Tra i giovani partecipanti, c’erano anche i figli dell’assessore regionale Gian Luca Vignale, Carlo e Matteo, 18 e 20 anni. Invece di condannare la vicenda, il padre l’ha minimizzata, giustificando i figli in quanto “ragazzi”. Quando ai leader manca l’integrità morale, è difficile aspettarsela dai giovani.
E a sinistra, intanto, si inneggia all’intifada e si celebra la “resistenza” del gruppo terroristico di Hamas. Qui a New York, la comunità ebraica è scossa dall’esito delle primarie democratiche per le elezioni del sindaco, dove ha vinto il giovane Zohran Mamdani, che durante la sua campagna elettorale si è ripetutamente rifiutato di condannare l’espressione “globalize the intifada”. Se ai newyorchesi che l’hanno sostenuto risulta facile liquidare il dibattito sostenendo che “intifada” sia un termine figurativo per parlare di “resistenza”, a noi ebrei europei—che gli attentati terroristici di matrice islamista li abbiamo vissuti sulla nostra pelle—riesce meno facile.
Per noi non è retorica: è memoria, ed è concreta. Qualche giorno fa, a Copenaghen, io e la mia famiglia abbiamo visitato la tomba di Dan Uzan, il giovane che nel 2015 fu ammazzato in un attentato terroristico mentre prestava servizio volontario per la sicurezza davanti alla sinagoga. L’eroismo di Dan Uzan ha salvato numerose vite all’interno della sinagoga.
Chiunque abbia a cuore la libertà, l’uguaglianza e il rispetto dell’altro dovrebbe battersi contro ogni discriminazione, anche quando è scomoda e comporta una perdita di ‘punti’ in una politica che molti trattano come uno sport di squadra; anche quando colpisce chi porta una kippà. In gioco c’è l’idea stessa della società in cui vogliamo vivere, una società che riconosce l’ipocrisia e la chiama col suo nome.

Simone Somekh