ISRAELE – Netanyahu e l’ultimatum dei partiti religiosi

La coalizione guidata da Benjamin Netanyahu è di nuovo in bilico. Degel HaTorah, una delle due principali fazioni haredi, ha minacciato di lasciare il governo se entro le prossime ore non verrà presentato un disegno di legge che esenti dal servizio militare gli studenti delle yeshiva, le scuole religiose. Shas, l’altro partito haredi, si prepara a seguirne l’esempio. Senza i 18 seggi delle due componenti religiose, Netanyahu perderebbe la maggioranza alla Knesset, uno scenario che aprirebbe alle elezioni anticipate.
La legge sull’esenzione doveva essere presentata alla Knesset nelle scorse settimane, ma è stata congelata in concomitanza con l’offensiva israeliana contro l’Iran. Ora i leader religiosi parlano di tradimento degli accordi di coalizione e chiedono di votare la norma, mentre il primo ministro cerca di calmare gli animi e bloccare la crisi prima della pausa estiva del parlamento.
Mentre la coalizione vacilla sul tema della leva per gli studenti della yeshiva, è invece compatta nel procedere alla rimozione della procuratrice generale Gali Baharav-Miara. Il ministro della Giustizia Yariv Levin le contesta 84 punti, raccolti in un dossier consegnato alla commissione incaricata di valutarne la rimozione. Per i critici il procedimento rappresenta un attacco all’indipendenza della magistratura. Il presidente Isaac Herzog ha definito tutto il caso «incredibilmente pericoloso» per la democrazia israeliana, denunciando un «caos totale» in cui «tutti attaccano tutti». Contro la procedura è intervenuto l’ex procuratore generale Avichai Mandelblit, con un passato da consigliere di Netanyahu: «Invece della lealtà allo stato, ci sarà la lealtà ai ministri e al governo. Non sarebbe più uno stato democratico».
Una nuova fase di tensione istituzionale mentre la crisi principale, il conflitto a Gaza, resta senza novità diplomatiche. Nella notte il presidente Usa Donald Trump ha auspicato «di risolvere la questione nel corso della prossima settimana». Sette giorni in cui arrivare a un cessate il fuoco di 60 giorni, il rilascio di una parte degli ostaggi e il ritiro dell’esercito israeliano da alcune aree di Gaza. Per le famiglie degli ostaggi l’ultima parola spetta a Netanyahu. «È lui che ha la chiave, e deve spiegare perché sono ancora lì», ha dichiarato l’ex ostaggio Ilana Gritzewsky, rivolgendosi al capo del governo durante un’audizione alla Knesset. Gritzewsky ha raccontato i 55 giorni di prigionia a Gaza e le violenze subite. Il suo compagno, Matan Tzangauker, da 647 giorni è nelle mani di Hamas. «A volte, concludere un accordo richiede più coraggio che continuare una guerra», ha aggiunto Gritzewsky. «Sono cresciuta in un paese fondato sulla promessa che se cadevi, ti rialzavano; se venivi rapito, ti riportavano a casa. Dov’è finita quella promessa?».