EBRAISMO – 600 anni di storia, tornano alla luce i manoscritti dei Beta Israel

Conservati per secoli tra le mani dei sacerdoti, letti a voce alta nei centri di preghiera, protetti dalle persecuzioni: così i Beta Israel, gli ebrei etiopi, sono riusciti a tramandare per generazioni i loro testi sacri, fino a portarli in salvo in Israele. Ma è solo di recente che due di questi testi sono emersi dall’ombra della storia. Grazie al programma Custodi dell’Orit dell’Università di Tel Aviv, sono stati identificati due rotoli scritti nell’antica lingua Ge’ez e risalenti al XV secolo: sono i più antichi manoscritti sacri mai scoperti nella tradizione ebraica etiope.
«La nostra scoperta sta suscitando grande interesse tra gli studiosi in tutto il mondo», ha spiegato a ynet la professoressa Dalit Rom-Shiloni, biblista e ideatrice del programma. «Conosciamo testi simili, anche precedenti, ma appartengono tutti alla tradizione cristiana. È la prima volta che possiamo dimostrare l’esistenza di manoscritti ebraici così antichi conservati dai Beta Israel».
I due rotoli fanno parte dell’Orit, il canone biblico della comunità ebraica etiope, che include i Cinque Libri di Mosè, Giosuè, Giudici e Rut. Sono stati identificati grazie a un lavoro congiunto tra ricercatori israeliani e internazionali, tra cui esperti di paleografia che ne hanno analizzato lo stile grafico. La loro datazione – seconda metà del Quattrocento – è oggi considerata un punto di svolta negli studi sull’ebraismo africano.
I Beta Israel sono una delle più antiche comunità ebraiche al mondo. Secondo la tradizione, discendono da ebrei giunti in Etiopia ai tempi del re Salomone e della regina di Saba, oppure da gruppi emigrati dalla Terra d’Israele dopo la distruzione del Primo Tempio. Per secoli hanno vissuto in regioni isolate dell’Etiopia, spesso in condizioni di marginalizzazione e persecuzione religiosa, ma mantenendo la propria identità religiosa, basata sull’Orit e su tradizioni trasmesse oralmente. La maggior parte dei Beta Israel è emigrata in Israele tra gli anni ’80 e ’90 attraverso le grandi operazioni di salvataggio denominate “Mosè” e “Salomone”.
«Finora abbiamo documentato quattro rotoli dell’Orit, due del XV e due del XVIII secolo, oltre ad altri tredici testi sacri», ha precisato Rom-Shiloni. «Tutti sono scritti in Ge’ez, una lingua liturgica oggi conosciuta solo dai kessim, i sacerdoti dei Beta Israel, e ognuno di questi manoscritti ha una storia affascinante. Alcuni sono stati donati ai sacerdoti dai loro maestri, altri sono stati portati in Israele a rischio della vita».
Questi testi non erano stati dimenticati. Dopo l’emigrazione dall’Etiopia, sono rimasti all’interno delle sinagoghe della comunità dei Beta Israel, utilizzati come “libri viventi”. Fino ad ora non erano accessibili né agli studiosi né al pubblico. «Sono stati custoditi con grande cura e alcuni proprietari hann rischiato la vita per portarli in Israele», ha spiegato Rom-Shiloni. «Ora lavoriamo per localizzare e documentare quanti più manoscritti possibile, sempre con il pieno consenso dei proprietari, che continueranno a conservarli».
Il programma, nato circa cinque anni fa, ha coinvolto studiosi di diverse discipline, studenti dell’Università di Tel Aviv e rappresentanti del Centro per il Patrimonio degli ebrei etiopi e della Biblioteca nazionale d’Israele. I manoscritti rimangono nelle mani dei kessim e delle loro famiglie, mentre la loro digitalizzazione alimenta un nuovo archivio online.
Per Youval Rotman, direttore accademico del Koret Center ed esperto di Beta Israel, il valore del progetto risiede nella capacità di coniugare conoscenza accademica e sapere comunitario: «I giovani studiosi parte del programma non si limitano a catalogare testi, ma costruiscono relazioni profonde con i kessim. Diventano eredi di una tradizione orale secolare. Il programma sta portando alla luce tesori nascosti che non avevano mai oltrepassato i muri delle sinagoghe locali».
Una delle missioni più importanti del progetto, conclude Rom-Shiloni, «è documentare la tradizione interpretativa dei kessim in Etiopia: la traduzione dal Ge’ez all’amarico e il commento orale aii testi sacri. Questo patrimonio non è mai stato messo per iscritto. Oggi solo diciotto kessim, formati in Etiopia, detengono ancora questa conoscenza. Se non agiamo ora, potremmo perderla per sempre».