LIBRI – Quando distopia fa rima con attualità

Nel 1922, quando Hugo Bettauer pubblica Die Stadt ohne Juden, l’Europa danza inconsapevole sull’orlo del baratro. Il suo romanzo, che si presenta come una satira leggera, svela invece con lucidità inquietante i prodromi di un’ideologia di esclusione già in atto. Hubert Bouccara, sulle colonne di Tribune Juive, torna oggi a interrogarne il significato, rileggendolo non solo come documento letterario, ma come gesto profetico e civile. 
Nella Vienna immaginata da Bettauer un decreto parlamentare sancisce l’espulsione di tutti gli ebrei: una misura presentata come necessaria al benessere collettivo, che porta a un declino rapido e inesorabile. La città si svuota non solo di commercianti, artisti, banchieri, ma della sua linfa vitale, di quel fermento culturale, della pluralità linguistica, della tensione etica che ne alimentavano l’identità. Il risultato è una Vienna più “pura”, ma anche più povera, più silenziosa, più spenta. Non è solo una parabola grottesca: è un’allerta. E se l’ironia di Bettauer smaschera l’assurdità di ogni progetto di epurazione, il destino stesso dell’autore – assassinato da un militante nazista nel 1925 – conferma quanto quell’ironia fosse insostenibile per chi aveva già scelto la via dell’annientamento. 

Oggi, grazie anche alla traduzione italiana pubblicata nel 1993 da Florentia del 1993, e poi ripubblicata da Chiarelettere nel 2020 col titolo La città senza ebrei, il romanzo riemerge dall’ombra in cui era stato relegato. E insieme a esso, l’omonimo film muto del 1924 diretto da Hans Karl Breslauer, per lungo tempo considerato perduto e restaurato nel 2015 a partire da una copia ritrovata a Parigi, torna a parlare al nostro presente (ed è visibile su alcune piattaforme online). Le immagini sgranate, a tratti surreali, restituiscono al testo una corporeità inquietante: la città che si svuota diventa spazio concreto, assenza fisica, interruzione del quotidiano. Non si tratta di un semplice oggetto d’archivio o di una curiosità storica, ma di un dispositivo critico, capace di interrogarci ancora. Bettauer non denuncia soltanto l’antisemitismo, ma il meccanismo che lo rende possibile: la lenta normalizzazione del pregiudizio, la complicità dell’opinione pubblica, la sostituzione della responsabilità politica con la paura dell’impopolarità. Rileggerlo oggi significa assumersi una responsabilità analoga: in un’epoca in cui l’identità torna a essere un motivo di sospetto, in cui si invocano cancellazioni culturali più o meno esplicite, in cui a contare è spesso chi parla più che ciò che dice, La città senza ebrei ci chiede con forza cosa resta di una società quando sceglie di amputare le sue diversità. E soprattutto se abbiamo ancora gli strumenti – etici, civili, intellettuali – per rispondere.