GERMANIA – Yiddish Summer Weimar: 25 anni di cultura ebraica nel cuore dell’Europa

In queste giornate estive, a Weimar, si può imparare un canto yiddish in cerchio con sconosciuti, danzare nel cortile di un’accademia musicale, ascoltare un’orchestra di giovani da Haifa e, nel silenzio del sabato, condividere un pasto di Shabbat con artisti, studenti e famiglie. Succede da venticinque anni, ed è il cuore dello Yiddish Summer Weimar, il festival che ogni estate porta nel centro della Germania un po’ di vita e cultura ebraica.
Nel calendario di quest’anno, tra concerti, film, workshop e laboratori, emergono presenze ormai consolidate: il duo Lerner Moguilevsky, maestri della musica klezmer da Buenos Aires; e le serate “A shtim fun harts” legate allo Shabbat. Un programma ampio, che interroga il presente, a partire da una domanda: che cosa vuol dire oggi, in Europa, trasmettere la cultura yiddish? Domanda a cui prova a rispondere anche Miriam Camerini, regista, cantante e studiosa italiana, al suo decimo anno al festival. Quest’estate conduce un laboratorio sulle canzoni yiddish nel contesto delle feste ebraiche e guida i momenti lo Shabbat formativo. «C’è davvero un bel clima: tantissima gente, una grande energia. Si percepisce il percorso costruito in questi anni», racconta Camerini. Oggi, prosegue, «il festival ha una vocazione più didattica che performativa. Ci sono concerti, certo, ma l’attenzione è molto più focalizzata sull’educazione».
Per i suoi Shabbat formativi, iniziati nel 2016 a Weimar, la regista e studiosa spiega di aver voluto mantenere una forma «che potesse essere sia il più inclusiva possibile, sia mantenere un senso profondo del significato del sabato ebraico. Negli anni, questa idea è cresciuta. È diventato qualcosa di vero, non solo simbolico: challah, canti tradizionali, riflessioni, uno spazio autentico». Anche perché, sottolinea, «più sei autentico, più le persone, anche da posizioni lontane, comprendono cosa stai facendo. Il significato delle tue tradizioni».
A Weimar si respira un mondo yiddish pieno di energia e lontano dagli stereotipi del passato. «Qui non c’è proprio la domanda se lo yiddish sia vivo: è vivo, punto. Basta andare a Berlino, in giro per la Germania, in Francia, Austria, Ungheria».
Il contesto del Centro Europa, pur con tutte le sue diversità e con alcune limitazioni, favorisce questo tipo di lavoro. «Secondo me c’è una fetta sana d’Europa, dove la vita ebraica si può portare avanti senza nostalgie e con proposte nuove».
In Italia, racconta la regista, dopo il 7 ottobre il clima si è fatto più ostile e l’apertura a organizzare iniziative di cultura ebraica si è molto ristretta. «Anche chi si nasconde dietro la scusa di non volere problemi per eventuali proteste dimostra, nel migliore dei casi, una forma di indifferenza».
Non è solo l’Italia a fare fatica, ma nel frattempo in molte parti d’Europa si sperimenta. «Quest’estate ci sono tanti corsi di yiddish in giro: a Parigi, Berlino, Vilnius, Vienna… tutti connessi a università, con persone giovani, preparate, coinvolte. È un momento molto vitale, e Weimar fa parte di questa rete».
La piccola cittadina nel cuore della Germania continua a essere un punto di riferimento. In questi anni il festival ha toccato anche Salonicco, Belgrado, Firenze, Budapest. Ha accolto artisti come Yair Dalal, voci dall’Iraq, dalla Turchia, dalla Grecia. «In questi tre anni il tema è stato quello delle connessioni con il mondo ottomano – un viaggio attraverso la fine dell’Ashkenaz orientale: Bessarabia, Moldavia, Grecia attuale, Turchia», racconta Camerini. «Questo modo di raccogliere la cultura yiddish, di farla rivivere in tutta Europa, seguendone le tracce nel vecchio continente, è una spinta profondamente europeista. Nel senso più bello del termine».

d.r.


(Foto Shendl Copitman)