ISRAELE – La trattativa per gli ostaggi riparte da Roma

«Tornate con qualcosa di più coerente, stiamo aspettando». È questo il messaggio che i mediatori di Qatar ed Egitto, riporta il sito israeliano ynet, hanno trasmesso a Hamas dopo aver esaminato la sua ultima risposta sulla proposta di cessate il fuoco. Una posizione giudicata «insoddisfacente» dal Cairo e Doha, tanto da non essere stata nemmeno inoltrata a Israele. Un no che avrebbe portato Hamas a modificare i toni e ad aprire all’intesa.
A Gerusalemme, scrivono i media locali, ci si aspetta una risposta interlocutoria dal gruppo terroristico, che tenga aperto il negoziato. Le distanze sembrano colmabili, con i punti più critici legati al ritiro militare e al numero di detenuti palestinesi da rilasciare. Lo schema in discussione è lo stesso da mesi: una tregua di 60 giorni in cambio del rilascio di dieci ostaggi ancora in vita su 20 e la restituzione di 18 salme su 30 ancora nelle mani di Hamas. Le prime otto persone verrebbero liberate già il primo giorno di cessate il fuoco; le restanti due, al cinquantesimo. Le salme sarebbero invece restituite in tre fasi distinte. Il testo prevede anche che, durante la tregua, si svolgano nuovi colloqui per arrivare alla fine del conflitto e alla liberazione degli altri ostaggi.
L’arrivo a Roma di Witkoff
Per provare a sbloccare la situazione, l’inviato speciale americano Steve Witkoff è atterrato a Roma per un vertice con il ministro israeliano degli Affari strategici, Ron Dermer e un alto rappresentante del Qatar. L’obiettivo è cercare un’intesa politica che consenta di superare lo stallo. La sua presenza in Europa è considerata a Gerusalemme il segnale più chiaro che i canali diplomatici restano attivi, scrive il sito Walla. Witkoff, fanno sapere fonti statunitensi, è pronto a spostarsi a Doha entro la fine della settimana, se i colloqui in Italia porteranno a un’apertura concreta. In Witkoff le famiglie degli ostaggi hanno trovato una sponda positiva: «Risponde subito. Gli ricordiamo ogni giorno l’impegno che ha preso con noi», ha raccontato a Kan Maccabit Mayer, zia dei gemelli Gali e Ziv Berman, da 655 giorni prigionieri a Gaza. La richiesta è, ha aggiunto Mayer, per un accordo che riporti a casa tutti gli ostaggi. «Non si può lasciare indietro nessuno, non facciamo che gridarlo».
La lettera dei medici israeliani e la risposta dell’esercito
Sul terreno, l’emergenza umanitaria nella Striscia di Gaza si aggrava. Oltre cento organizzazioni internazionali hanno parlato negli ultimi giorni di una «fame di massa» in atto, con casi crescenti di denutrizione tra i minori e difficoltà nella distribuzione degli aiuti. Israele respinge le accuse, sottolineando che oltre 4.500 camion sono entrati nell’enclave palestinese dal 19 maggio scorso e che il vero ostacolo è rappresentato dai ritardi nella logistica e nella distribuzione interna, di competenza delle Nazioni Unite. Il ministero degli Esteri israeliano ha inoltre avvertito le ong di «non ripetere la propaganda di Hamas».
Ma l’appello a intervenire arriva anche dall’interno del sistema sanitario israeliano. In una lettera inviata ai vertici militari, l’Associazione medica israeliana ha chiesto di «garantire condizioni umanitarie minime e il flusso di forniture mediche essenziali alla popolazione civile della Striscia». «Vorremmo sottolineare la necessità di garantire l’accesso ad attrezzature mediche e beni di prima necessità, così come richiesto dall’etica medica e dal diritto internazionale umanitario», ha scritto il presidente dell’associazione, Zion Hagay. Lettera a cui ha risposto Ghassan Alian, capo del Coordinamento delle attività governative nei territori (Cogat). «Le Idf facilitano continuamente e costantemente la fornitura di servizi medici attraverso le organizzazioni umanitarie e la comunità internazionale», ha spiegato Alian. «Israele continuerà a consentire l’ingresso di attrezzature mediche e medicinali nella Striscia di Gaza», ha aggiunto il portavoce militare, «adottando tutte le misure possibili per impedire all’organizzazione terroristica Hamas di sequestrare gli aiuti e utilizzarli per attività terroristiche e scopi militari».