INFORMAZIONE – Crisi umanitaria a Gaza, le opinioni dei media israeliani

«Ciò che sta succedendo a Gaza non può continuare», scrive Ron Ben-Yishai, uno dei più noti analisti militari israeliani, in un editoriale su Ynet. «La crisi umanitaria è reale e visibile, le immagini dei bambini affamati parlano da sole. Ma la gestione israeliana della distribuzione degli aiuti è disastrosa: i punti di raccolta sono mal posizionati, le ong non vogliono collaborare con Israele, e tutto questo nuoce non solo ai civili palestinesi, ma anche alla nostra legittimità internazionale».
Dalle colonne dei quotidiani e dei siti israeliani – mentre si attendono aggiornamenti sui negoziati per il cessate il fuoco – emerge un quadro variegato, spesso contraddittorio, che nel suo insieme riflette le differenti posizioni sulla situazione a Gaza, tra prese di responsabilità, denuncia di fallimenti organizzativi e comunicativi, difesa dell’operato dell’esercito e accuse di crimini di guerra.
Autocritica e comunicazione
Oltre a Ben-Yishai, anche Yossi Yehoshua, analista militare di lungo corso, ha criticato duramente l’approccio comunicativo del governo israeliano. Yehoshua osserva con amarezza che Israele, pur essendo “uno Stato capace di seguire ogni movimento di un generale iraniano”, si dimostra “incapace di gestire una campagna di relazioni pubbliche di base”.
L’editorialista denuncia l’inerzia delle istituzioni nel contrastare accuse come quella di una carestia deliberata a Gaza. «Perché il portavoce delle Forze di difesa israeliane non pubblica aggiornamenti quotidiani in inglese sugli aiuti umanitari che entrano a Gaza?», chiede Yehoshua. E ancora: «Dove si trova l’autorità nazionale per la diplomazia pubblica? Perché non c’è una figura ufficiale che ogni settimana si presenti davanti alle telecamere con dati e risposte?».
Secondo lui, il vero problema non è tattico, ma sistemico. «Non siamo nemmeno a metà campo. Non stiamo nemmeno giocando la partita». La conseguenza, aggiunge, è che «le menzogne e la propaganda riempiono il vuoto?», e Israele perde il controllo della narrativa, anche nei casi in cui ha ragione. Yehoshua conferma che il problema della fame a Gaza esiste, ma sottolinea come i responsabile sia «il cinismo Hamas». «Quando Israele non contrasta la narrazione della fame – un misto di fatti e falsità – altri parlano al posto suo», conclude l’analista.
Chi controlla Gaza
Una lettura più dura sulle responsabilità per la situazione di Gaza arriva da David Horovitz, direttore del Times of Israel. Secondo lui, Israele ha assunto su di sé il peso della crisi: «Controllando il 75% della Striscia, si è reso il referente principale per tutto ciò che vi accade, fame compresa». Horovitz denuncia il caos nella distribuzione degli aiuti e l’assenza di mezzi non letali per i soldati, costretti ad affrontare folle disperate: «Israele non può permettersi che civili vengano uccisi quasi ogni giorno nei pressi dei centri di soccorso. È immorale e indifendibile». Il governo, scrive, non ha saputo costruire nessuna alternativa a Hamas, né militare né politica, trasformando una guerra necessaria in una gestione brutale e senza strategia, che Israele paga con l’isolamento internazionale.
Dati falsi, dati veri
Una lettura più tecnica ma altrettanto critica arriva invece da Tammy Caner, ricercatrice dell’Institute for National Security Studies, che punta il dito contro le distorsioni nei dati dell’Onu utilizzati per accusare Israele di carestia deliberata. Secondo Caner, i rapporti delle Nazioni Unite si basano su rilevazioni incomplete e parziali dell’Unrwa, che escludono migliaia di camion di aiuti entrati a Gaza attraverso altri valichi, via mare o con lanci aerei. «Il risultato», scrive nella sua lunghissima analisi, «è una narrazione falsata che ha alimentato accuse infondate di genocidio e crimini di guerra». Per Caner, la crisi esiste, ma è aggravata dalla scarsa trasparenza e dall’affidamento a fonti controllate da Hamas, mentre i dati israeliani vengono sistematicamente ignorati. Una dinamica che, a suo avviso, ha compromesso la credibilità delle istituzioni internazionali e rafforzato la campagna di delegittimazione contro Israele.
Opinioni opposte
Il contrasto più netto emerge però leggendo le posizioni opposte di Haaretz e Arutz Sheva.
Per la redazione di Haaretz, non solo la fame a Gaza è reale, ma sarebbe una scelta deliberata del governo di Israele. Il giornale accusa esecutivo ed esercito di aver causato intenzionalmente una carestia: «Ogni camion che entra deve sfamare 30.000 persone. Non servono competenze logistiche per capire che questo è affamare un popolo». Con 111 morti per malnutrizione secondo le autorità locali e un tasso di denutrizione infantile in forte crescita, Haaretz parla apertamente di «crimine di guerra» e di «violazione delle direttive della Corte Internazionale di Giustizia». La colpa, secondo il quotidiano, ricade in particolare sul primo ministro Benjamin Netanyahu e sul capo di stato maggiore Eyal Zamir. «Ogni giorno di ritardo significa più bambini che muoiono di fame», si legge nell’editoriale.
All’estremo opposto si colloca Avraham Grinzaig su Arutz Sheva, per cui tutto il caso è «una campagna demagogica» orchestrata dai media e dal mondo progressista per delegittimare Israele. Secondo lui, la narrativa della fame è non solo esagerata, ma anche irrilevante per la maggioranza degli israeliani: «La gente qui ha altre priorità: la sicurezza, l’economia, ricostruire le città distrutte. Il pianto sulla fame a Gaza non tocca nessuno». Grinzaig accusa la stampa mainstream di ignorare le responsabilità di Hamas e di voler spingere Israele a gesti unilaterali irrazionali. «Non esiste nella storia un esercito che nutre i suoi nemici durante la guerra», scrive. E conclude: «Se c’è un problema nella distribuzione degli aiuti, la responsabilità è a Gaza, non a Gerusalemme».
L’appello
Di fronte a un’opinione pubblica internazionale sempre più critica, a segnali crescenti di crisi umanitaria e a una narrazione che Israele fatica sempre più a controllare, l’interrogativo su come uscire dall’impasse di Gaza resta aperto. Per Ron Ben-Yishai, la linea è chiara: «Questa catastrofe deve essere fermata, con o senza un accordo sugli ostaggi. Bisogna tornare a permettere alle Nazioni Unite e alle organizzazioni internazionali di distribuire gli aiuti, anche se ciò comporta qualche concessione ad Hamas, oppure creare decine di nuovi punti di distribuzione gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation, con accessi garantiti dall’esercito. Una cosa è certa: così com’è, non può andare avanti».
d.r.