MILANO – I 101 anni di Goti Bauer, mazal tov!

È il giugno del 1993 e Goti Bauer su uno dei suoi diari appunta, con un corsivo svelto e ordinato, alcune righe per preparare la sua testimonianza. «Sono una degli ormai pochissimi superstiti di Auschwitz: quasi cinquant’anni sono passati da allora e, tristemente, il loro numero si riduce con crescente rapidità», esordisce Bauer. «In ognuno c’è, ora forse più di prima, l’ansia di parlare ancora dell’immensa tragedia e di dare voce, attraverso il proprio racconto, ai tanti che da lì non sono tornati. Ognuno sa di avere poco tempo davanti a sé e sente il dovere di contrastare, con la propria sofferta testimonianza, la troppo facile diffusione di menzognere predicazioni che minimizzano, quando addirittura non negano, quanto è successo». Un monito scritto oltre trent’anni fa e ancora valido per il presente. Un’eredità, quella di Bauer, che oggi compie 101 anni, custodita dalla figlia Rosanna Bauer Biazzi e dalla Fondazione Cdec, a cui è stato donato l’intero archivio personale della testimone: lettere, appunti, traduzioni, materiali raccolti nel corso di decenni di attività pubblica.
Il cuore del fondo è rappresentato da cinque agende, fitte di scrittura, in cui Bauer preparava i suoi interventi. Testi in forma di bozza, spesso corretti a mano, pieni di appunti marginali, interruzioni, riscritture. «La parte più significativa del fondo sono proprio le agende», spiega a Pagine Ebraiche Laura Brazzo, responsabile dell’Archivio storico della Fondazione Cdec. «Contengono non solo le testimonianze, ma anche minute di lettere, riflessioni personali e tentativi di traduzione di testi importanti, come il Dizionario del lager di Oliver Lustig o, parzialmente, le memorie di Eva Klein Quittner».
Le agende sono state integralmente digitalizzate e trascritte, in un lavoro condotto da Paola Cipolla, con il sostegno della Direzione Generale Archivi, per renderle accessibili e consultabili, e permettere anche un’analisi testuale più approfondita.
«Mia madre ha sempre vissuto la testimonianza come un dovere», racconta Rosanna Bauer Biazzi. «Fino a 95 anni ha parlato nelle scuole, nelle università. Sempre con toni pacati, ma con una grande forza. Chi l’ha ascoltata non l’ha dimenticata. Ancora oggi arrivano lettere e messaggi da studenti, insegnanti, persone che la ringraziano». Quel senso di responsabilità non l’ha mai abbandonata. Goti Bauer è tornata più volte ad Auschwitz, accompagnando scolaresche e istituzioni. «Diceva con amarezza: “Quella è la mia casa”», ricorda la figlia. «È un buco nero che non si chiude mai, e che in qualche modo passa di generazione. Lo abbiamo tutti stampato nel Dna».
Nata il 29 luglio 1924 a Berehovo, allora in Cecoslovacchia, Goti Bauer si trasferì nel 1929 a Fiume con i genitori, Luigi Herskovits e Rosa Amster, e il fratello minore. La situazione divenne sempre più difficile con l’emanazione delle leggi razziali nel 1938, e precipitò dopo l’8 settembre 1943, quando Fiume fu annessa alla Germania nazista. La famiglia tentò la fuga in Svizzera con documenti falsi, ma venne arrestata. Goti fu deportata ad Auschwitz nel maggio del 1944: fu l’unica della sua famiglia a sopravvivere.
«Per anni non sapevamo nulla del suo passato», ricorda Rosanna. «Poi si è aperta e ha deciso di testimoniare pubblicamente con grande coraggio. Ma non ha mai voluto che io fossi presente. Neanche all’ultima sua testimonianza in una scuola, sei anni fa. Penso fosse un modo per proteggermi». Come ha ricordato più volte Liliana Segre, fu proprio Goti Bauer a darle la forza di iniziare a raccontare pubblicamente il proprio passato di sopravvissuta ad Auschwitz.
A 101 anni, prosegue Rosanna, «mia madre mantiene un acume invidiabile. Ha idee molto aggiornate sul mondo. E a volte mi rendo conto che è più avanti di me».
Di attualità, però, si parla poco. Legge soprattutto libri. «Cerco di proteggerla, evito che guardi troppa televisione. Una sola volta le ho raccontato di un presidio contro l’antisemitismo a Milano, dopo il 7 ottobre. Si è rabbuiata subito. Ho cambiato discorso. Abbiamo proseguito parlando di altro». Ma, poco dopo, mentre Rosanna stava per uscire, Goti è tornata su quel pensiero: «Ripensando al discorso sull’antisemitismo, si è preoccupata e mi ha chiesto: “Avete una casa sicura? Che non vi vengano a cercare”».
Oggi Goti Bauer non testimonia più in pubblico, ma la sua voce resta. Vive nei suoi scritti, nei ricordi di chi l’ha ascoltata e nel lavoro della Fondazione Cdec, che ne custodisce l’archivio, che presto diventerà accessibile.

Daniel Reichel

(Foto in alto Associazione Figlii della Shoah)