SPORT – Dai tunnel di Gaza agli Champs-Élysées: il ritorno in sella di Ofer Calderon

Per 484 giorni, Ofer Calderon ha vissuto sottoterra, prigioniero di Hamas, spostato da un tunnel all’altro nella Striscia di Gaza. In quel buio costante, uno dei pochi rifugi era immaginarsi in sella alla sua bicicletta. «Rivedevo i percorsi che conoscevo a memoria. Questo mi aiutava a non perdere la lucidità», ha raccontato da Parigi, una città dove, fino a pochi mesi fa, non avrebbe mai pensato di trovarsi. E invece, grazie al team Israel–Premier Tech, ha potuto coronare un sogno: partecipare alla giornata conclusiva del Tour de France, vinto dall’insuperabile Tadej Pogačar. Sul percorso dove poche ore dopo il corridore sloveno sarebbe diventato campione di Francia, Calderon ha pedalato per alcuni minuti, accanto ai proprietari del team israeliano, Sylvan Adams e Ronny Braun, e a un piccolo gruppo di amici e famigliari. «Mi sono emozionato avvicinandomi all’Arco di Trionfo. Tutto è così ampio, così vivo». Ma, ha aggiunto il 54enne israeliano, «non riesco a sentirmi davvero felice. Le persone con cui ero prigioniero sono ancora lì. Finché non saranno libere, non mi sentirò completo. Questi sentimenti continuano a scontrarsi dentro di me».
Calderon è stato rapito dai terroristi di Hamas il 7 ottobre 2023 nel kibbutz Nir Oz. Con lui era stato sequestrato anche il figlio Erez, liberato un mese e mezzo dopo, durante il primo accordo per il rilascio degli ostaggi. Per Ofer, invece, la liberazione è arrivata solo il 1° febbraio 2025, dopo quasi sedici mesi di prigionia, molti dei quali trascorsi sottoterra, spesso in isolamento, con accesso limitato a cibo, luce e movimento. «Ero uno sportivo. Facevo yoga, correvo. Poi, all’improvviso, non potevo più fare nulla. Neanche muovermi liberamente». Nel corso della prigionia ha perso 25 chili.
Il ritorno alla bicicletta è cominciato lentamente, nei primi mesi dopo il rilascio. All’inizio con una bici a pedalata assistita, per aiutarsi nei momenti di fatica. Poi, gradualmente, ha ricominciato a percorrere sentieri, spesso con il figlio Erez al suo fianco.
A Parigi era accompagnato anche dalla compagna Sharon e, intercettato dai giornalisti israeliani, ha espresso il suo disagio per l’attenzione mediatica. «Non ho ancora trovato un modo per raccontare davvero quello che è successo. Ma quando pedalo, qualcosa si sblocca. È come se il corpo sapesse cosa fare, anche quando la mente fatica».
Nel tempo condiviso con il team israeliano, qualcosa si è aperto e Calderon ha condiviso qualche frammento in più delle sofferenze patite in prigionia. E si è soffermato più volte sull’ostinazione con cui cercava di resistere mentalmente, aggrappandosi all’idea che sarebbe tornato a pedalare. «Ogni volta che pensavo di cedere, chiudevo gli occhi e mi vedevo sulla bici. Era l’unica immagine che riusciva a rimanere nitida».
L’idea di portarlo a Parigi era nata come un auspicio di Adams, imprenditore e filantropo, da anni alla guida della Israel–Premier Tech. «Avevamo immaginato che, se fosse stato liberato, lo avremmo portato al Tour. Lo abbiamo fatto. Ma non c’è nulla da festeggiare finché tutti gli altri ostaggi non torneranno a casa», ha commentato Adams al Times of Israel.
La squadra, alla sua sesta partecipazione consecutiva al Tour, ha dedicato l’edizione 2025 ai rapiti ancora a Gaza. I loro nomi e i volti hanno fatto capolino su pullman, auto e maglie dello staff. Durante tutte le tappe, i corridori hanno partecipato a iniziative pubbliche per chiedere il loro rilascio. Una voce a cui si è unita quella di Calderon: «Io sono solo uno che è tornato. Ma non ho dimenticato. E non voglio che gli altri vengano dimenticati».