SCAFFALE – «Non è bene che l’uomo sia solo»

Da quando sono state scoperte e attuate in tutti i luoghi del mondo, le pratiche dell’agricoltura, della sepoltura e della stanzialità, tutte le civiltà umane, senza eccezione, hanno anche creato, e mai più abbandonato, l’istituzione della cosiddetta famiglia, e di un atto solenne atto a suggellarne la nascita, il cosiddetto matrimonio. Famiglie monogamiche o poligamiche, ma comunque caratterizzate da un imprescindibile principio, quello della limitazione tassativa della pratica sessuale da parte della sposa (o delle spose) a beneficio di un unico uomo, il suo (o loro) unico ed esclusivo marito.
Nella Torà, tale creazione viene posta al principio della stessa storia umana, subito dopo la creazione del primo uomo: «Non è bene che l’uomo sia solo, gli farò un aiuto davanti a lui» (Gen. 2:18). «Tuttavia», osserva rav Haim Fabrizio Cipriani, «la solitudine non equivale, come ben sappiamo, a essere fisicamente isolati. Quando Cechov scrive: «Se vuoi essere solo, sposati», usa un tono ironico per sottolineare una realtà profonda: la capacità di un’altra persona di soddisfare i nostri bisogni è limitata, ma il nostro bisogno di intimità è sconfinato».
«Pochi versetti dopo», continua il rav, «leggiamo: ‘Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre per unirsi alla sua donna’ (Gen. 2:24). Se tale prescrizione appare chiara e senza ambiguità nel libro della Genesi, nel seguito della Torà emergono pratiche come la poligamia (Giacobbe ha due spose, Davide e Salomone molte di più), la possibilità di divorziare (come indicato in Deut. 24), il concubinaggio (pensiamo ad Abramo e Hagar, Giacobbe e Bilhà, e molti altri), l’adulterio (come nel caso di Osea e Gomer), oltre ad episodi di abbandono (che coinvolgono ancora una volta Davide). La realtà umana si rivela quindi molto più articolata e complessa di quanto sembri inizialmente».Queste parole si trovano nella prefazione di un libro di grande interesse, scritto da un giovane a valente studioso, Daniele Zaccheddu: Il matrimonio nel diritto ebraico (Firenze, Giuntina, 2025, pp. 276, euro 20).
Il volume, realizzato col contributo e la sponsorizzazione della Ragione Sardegna e dell’Associazione Chenàbura. Sardos pro Israele, presieduta da Mario Carboni, rappresenta una ricostruzione a 360 gradi dei vari aspetti della pratica matrimoniale nella tradizione ebraica, sul piano giuridico e religioso (livelli, com’è noto, inscindibili), nell’epoca biblica, nella Mishnah, nel Talmùd, nella giurisprudenza e speculazione rabbinica, fino al diritto positivo contemporaneo, in Italia e in Israele.
Esso è articolato in quattro, densi capitoli.
Nel primo (Il matrimonio ebraico) si esaminano le fonti, gli atti preliminari, il fidanzamento, i vari modi di contrazione del vincolo coniugale.
Nel secondo (Le parti e gli impedimenti al matrimonio) sono trattate le questioni relative alla capacità giuridica delle parti, agli ostacoli fisici o psichici, al consenso, agli impedimenti derivanti da legami di parentela o di affinità o da precedente unione matrimoniale. Ancora, si tratta dello statuto del figlio illegittimo (il cosiddetto mamzèr), del levirato, del passaggio dalla poligamia alla monogamia, nonché, più in generale, della posizione della donna e del desiderio e della sessualità nell’ebraismo.
Nel terzo (La dissoluzione del matrimonio) sono esaminati i vari modi di scioglimento del vincolo (morte, impotenza, divorzio).
Il quarto, infine (Matrimonio ebraico ed effetti civili), tratta della peculiare collocazione del matrimonio ebraico nel quadro del diritto positivo contemporaneo, in particolare italiano e israeliano, ricostruendo, in particolare, le parti relative a tale tematica dell’Intesa del 1987 tra l’UCEI e lo Stato italiano e della successiva Legge attuativa del 1989.
L’analisi condotta dall’autore appare molto puntuale e approfondita, frutto di un lavoro di ricerca di grande impegno e serietà. E ci si complimenta anche per lo stile chiaro e discorsivo dell’esposizione, tale da rendere il volume di accessibile lettura anche da parte di un pubblico non specializzato.
Tutti i diritti positivi (tanto di Civil Law quanto di Common Law, nonché il diritto canonico e quello coranico) devono moltissimo alla millenaria tradizione biblica, talmudica e rabbinica in materia matrimoniale, vero e proprio tesoro di elaborazione dottrinale, sempre alla ricerca di soluzioni più adatte, nelle molteplici circostanze, a tutelare i diversi interessi dei soggetti coinvolti, a partire da quelli dei più deboli e della società nel suo complesso. Perché è proprio l’ebraismo (non il diritto romano, che lasciava la sposa alla mercé del marito, o del padre o nonno di questo) ad avere fissato l’irrinunciabile principio che il matrimonio non è, né potrà mai essere, un atto soltanto privato.
Se la gente studiasse almeno un pochino di più, non si sentirebbero pronunciare (anche da autorevoli cattedre) tante disarmanti idiozie sul carattere duro e vendicativo della legge del cosiddetto Antico Testamento. Ma studiare, mi rendo conto, è un po’ più faticoso che sciorinare slogan da quattro soldi: da duemila anni, a parte qualche virgola, sempre uguali.
Francesco Lucrezi, storico