MEDIO ORIENTE – Riconoscimento Palestina: i passi di Berlino, le critiche a Starmer

La Germania, assieme all’Italia, ha più volte ribadito in questi mesi la sua contrarietà al riconoscimento immediato di uno stato palestinese. Ma anche a Berlino qualcosa sta cambiando. Le parole pronunciate dal ministro degli Esteri Johann Wadephul alla vigilia del suo viaggio in Israele – «Il processo verso il riconoscimento deve iniziare adesso» – non rappresentano una svolta formale, ma indicano che la linea tedesca si sta spostando.
Fino a poche settimane fa, Berlino ribadiva con fermezza che ogni riconoscimento dovrebbe arrivare solo al termine di un processo negoziale credibile. Oggi, pur mantenendo quella posizione di principio, Wadephul avvia quel processo e avverte Israele che «la Germania sarà costretta a rispondere a eventuali azioni unilaterali». Il riferimento è agli annunci di alcuni ministri del governo Netanyahu di voler estendere la sovranità israeliana sulla Cisgiordania. Il capo della diplomazia tedesca ha ribadito che «una soluzione negoziata a due stati è l’unica strada possibile per garantire pace, sicurezza e dignità a entrambe le popolazioni».
Tra le voci più critiche verso la linea del riconoscimento seguita da Regno Unito, Francia e Canada (aggiuntosi nelle ultime ore), c’è quella dell’Economist. Il settimanale britannico, in un editoriale pubblicato dopo l’annuncio di Londra, definisce il riconoscimento anticipato dello stato palestinese una «politica autolesionista», che rischia di prolungare il conflitto e indebolire la capacità di influenza dell’Occidente sia su Israele sia sulla leadership palestinese. Secondo l’Economist, la vera leva diplomatica sull’attuale governo israeliano non passa dal riconoscimento simbolico, ma dalla mediazione indiretta attraverso gli Stati Uniti e Donald Trump. Con la decisione di anticipare il riconoscimento, scrive il giornale, Francia e Regno Unito «hanno perso influenza su Israele» e si sono private di un importante strumento di pressione anche sul fronte palestinese, dove Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità nazionale palestinese, appare poco incline a concessioni. L’editoriale evidenzia un effetto controproducente sul piano strategico: il premier britannico Keir Starmer non ha subordinato il riconoscimento alla liberazione degli ostaggi né alla fine delle ostilità da parte di Hamas, creando così un potenziale incentivo per il gruppo terroristico a ostacolare il cessate il fuoco fino a settembre. Una volta ottenuto il riconoscimento, si legge, «Starmer avrà perso ogni leva su Israele» e sui palestinesi.
Dagli Stati Uniti il presidente Donald Trump ha ribadito la sua linea per porre fine al conflitto in corso: «Il modo più rapido per porre fine alla crisi umanitaria a Gaza è che Hamas si arrenda e liberi gli ostaggi!». Lo ha fatto mentre il suo inviato speciale per il Medio Oriente, Steve Witkoff, è impegnato a Gerusalemme per colloqui con Netanyahu. La presenza di Witkoff, sottolinea Maariv, segnala che «Washington, nonostante tutto, ritiene ancora possibile una ripresa dei negoziati, nonostante lo stallo attuale e l’intransigenza di Hamas».
(Nell’immagine, l’incontro a Berlino tra il ministro degli Esteri tedesco, Johann Wadephul, e l’omologo israeliano, Gideon Sa’ar – Foto ministero degli Esteri tedesco)