CINEMA – “La Cosa” abbraccia il suo ebraismo

C’è qualcosa di familiare nel vedere Ben Grimm sollevare un Maggiolino Volkswagen sopra la testa, nel cuore del Lower East Side. Non è solo un gesto da supereroe, è una scena da memoria ebraica. L’eroe roccioso dei Fantastici Quattro, noto al mondo come The Thing, torna nel nuovo film Marvel First Steps proprio là dove tutto è iniziato: non nello spazio profondo ma tra le strade di Yancy Street, tra insegne in yiddish sbiadite e sinagoghe di quartiere nella New York delle radici. Ben Grimm, per chi conosce appena i fumetti, è l’amico fedele, il muscoloso ruvido ma dal cuore buono. Come ha scritto PJ Grisar sul Forward, per chi invece conosce Jack Kirby — nato Jacob Kurtzberg, ebreo del Lower East Side, classe 1917 — Ben è qualcosa di più: è l’alter ego del suo creatore, la sua biografia travestita da mito. La pelle di pietra, la voce ruvida, la malinconia silenziosa: tutto rimanda a una diaspora interiore, a un’identità compressa che esplode solo dopo anni, come succede a molti ebrei americani di seconda generazione. Il fatto che l’ebraicità di Grimm sia stata esplicitata nei fumetti solo nel 2002 — quando recita lo Shema accanto a un amico morente — dice molto su ciò che era e forse ancora è dicibile nei mondi dell’immaginario pop. Per decenni è rimasta un’identità sussurrata, quasi nascosta tra le righe, mentre l’eroe combatteva mostri e alieni. Ma poi è arrivata la maturazione: il Bar Mitzvah tardivo, celebrato con pathos e ironia nelle pagine Marvel; il matrimonio sotto la chuppah con Alicia Masters; persino una nuova centralità narrativa, come se solo allora The Thing potesse davvero parlare con la sua voce. Nel film questa voce è affidata a Ebon Moss-Bachrach, attore ebreo, volto noto di The Bear, che dona a Ben un’umanità stropicciata, vissuta, affettuosamente goffa. Accanto a lui Natasha Lyonne interpreta Rachel Rozman, figura nuova ma familiare: una donna che conosce Grimm da prima della mutazione, prima del mito. È anche attraverso lei che il film lavora su un altro piano: quello della memoria culturale, delle identità che resistono sotto la superficie, pronte a riemergere. L’estetica è insieme retrò e visionaria, un “Kirby meets Kubrick” che unisce l’epica cosmica a un realismo urbano ebraico e proprio in questo contrasto si gioca il cuore del film: la convivenza tra l’altrove e l’appartenenza, tra lo spazio profondo e Delancey Street. Come se per ogni viaggio verso l’infinito ci fosse prima un ritorno alle origini, a un’infanzia fatta di strade strette, dialetti ebraici e rabbini anziani che ti ricordano da dove vieni.Fantastic Four: First Steps è in fondo proprio questo: un ritorno. Non solo per Ben Grimm ma per tutti noi che in un eroe con il corpo fatto di pietra riconosciamo le crepe della nostra storia. E in quei gesti sproporzionati, eroici, a volte ridicoli, si ritrova qualcosa della fatica di essere ebrei in America.
a.t.