GAZA – La strategia della fame, obiettivo di Hamas

Le strade distrutte di Gaza raccontano una tragedia che va oltre la guerra: quella della fame trasformata in arma politica. Su The Atlantic Ahmed Fouad Alkhatib – analista politico originario di Gaza, responsabile di Realign For Palestine, progetto dell’Atlantic Council – scrive che Hamas non subisce passivamente la crisi umanitaria in corso, la alimenta. Non solo per resistere, ma per sfruttare il dolore della popolazione come leva strategica e propagandistica. In un contesto dove mancano acqua, cibo e medicinali, e la vita quotidiana è ridotta alla sopravvivenza, la disperazione cresce, e con essa cresce anche il dissenso interno. Alcuni palestinesi, scrive Alkhatib, iniziano a sollevare la voce contro Hamas, accusandolo di aver sacrificato Gaza e i suoi abitanti in nome di una lotta senza uscita, e le loro parole sono taglienti: «Hamas vuole vedere Gaza distrutta fino all’ultimo bambino». Israele, dal canto suo, rivendica di aver cercato di contenere l’avanzata di Hamas, anche attraverso il blocco degli accessi ma proprio questa scelta, pur motivata dalla sicurezza, ha contribuito a peggiorare la situazione. I convogli umanitari vengono ostacolati o svuotati lungo il tragitto. Gli aiuti, quando arrivano, sono spesso preda di clan o gruppi armati, e la distribuzione è caotica. La fame, intanto, uccide, in particolare i più piccoli. Dietro questa catastrofe umanitaria, suggerisce Alkhatib, c’è un calcolo politico cinico: lasciare che il mondo assista all’agonia di Gaza per delegittimare Israele e rafforzare l’immagine di vittima di Hamas. Ma la realtà è più complessa: Hamas rifiuta ogni compromesso, ogni tregua, ogni passo indietro, perché il conflitto è ciò che ne giustifica l’esistenza. La via d’uscita, secondo l’autore, non può passare per la punizione collettiva, al contrario: è necessario inondare Gaza di aiuti, sotto supervisione internazionale, e lavorare per un’alternativa politica, per una missione di pace e il passaggio di potere all’Autorità Palestinese in una ricostruzione che parta dai diritti, non dalla propaganda. Perché solo così si potrà restituire dignità a chi oggi lotta per un pezzo di pane.