CONTROCORRENTE – Yasha Reibman: Eroe chi resiste

Un gruppo di ebrei italiani – tra i quali Anna Foa, Helena Janeczek, Gad Lerner, Simon Levis Sullam – ha firmato un appello per chiedere alla comunità internazionale «l’immediato riconoscimento dello Stato Palestinese», nel farlo condannano anche i «sistematici crimini di guerra e contro l’umanità, pulizia etnica e affamamento della popolazione palestinese da parte di Israele – violenze da più parti e legittimamente definite un genocidio». La partecipazione al coro del luogo comune del “genocidio” e della mostrificazione di Israele meriterebbe un commento a sé. Sappiamo tutti sulla nostra pelle quanto sia difficile riuscire a pensare in modo autonomo quando in così tanti intorno a noi – dai tanti media ai molti politici, dai colleghi agli amici, dal Papa al Presidente della Repubblica, dalle strade del Giro d’Italia al lungomare di Santa Marinella – sembrano tutti cantare la stessa canzone sulla supposta “disumanità” di Israele. Eroe chi resiste. Per quanto riguarda la proposta dell’appello, e che a qualcuno potrebbe apparire come l’uovo di Colombo, possiamo dire serenamente ai sottoscrittori che arrivano tardi. Israele aveva già riconosciuto il diritto a esistere di uno Stato arabo palestinese nel 1947 con David Ben Gurion, poi nel 1967 con Levi Eshkol, poi dopo gli accordi di Oslo il doppio tentativo a Camp David e Taba con Ehud Barak nel 2000, poi la Road Map for Peace con Ariel Sharon nel 2003, poi nel 2008 ad Annapolis con Ehud Olmert con tanto di Gerusalemme est capitale. I leader palestinesi finora han sempre detto di no. Colpa degli israeliani, naturalmente, perché in cambio chiedevano – pensate quale chutzpà! – che fosse riconosciuto il diritto all’esistenza dello Stato ebraico. Il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro di Sua Maestà, Keir Starmer, hanno almeno chiesto il disarmo di Hamas e la Lega Araba ha aggiunto anche il ritiro dalla scena dei fondamentalisti, che puntualmente hanno risposto di “no”. Speriamo che prima o poi arrivino dei sì.
Yasha Reibman