ISRAELE – Vent’anni dopo il ritiro da Gaza, Yonatan Bassi: È stato giusto farlo

«Ora i palestinesi hanno l’onere della prova. Devono combattere le organizzazioni terroristiche, smantellarne le infrastrutture e mostrare sincere intenzioni di pace per potersi sedere con noi al tavolo dei negoziati. Il mondo attende la risposta palestinese: una mano tesa in segno di pace o il continuo fuoco terroristico. A una mano tesa in segno di pace, risponderemo con un ramoscello d’ulivo. Ma se sceglieranno il fuoco, risponderemo con il fuoco, più violento che mai».
Sono passati vent’anni da quando, nell’agosto del 2005, l’allora premier israeliano Ariel Sharon annunciava, «con il cuore pesante» ma con la convinzione che «Gaza non può essere tenuta per sempre», l’inizio dell’evacuazione unilaterale dei 17 insediamenti israeliani presenti nella Striscia e di altri quattro in Cisgiordania.
«Ci sono israeliani di destra che pensano che sia stato uno sbaglio andarsene, perché ritengono che con la nostra presenza nella Striscia non ci sarebbe stato il 7 ottobre. Ci sono israeliani di sinistra che dicono che, se fossimo rimasti, ci sarebbe stata una strage persino peggiore del 7 ottobre. Ognuno ha la sua legittima opinione e va rispettata. Io comunque resto dell’idea che abbiamo fatto la cosa giusta», dichiara a Pagine Ebraiche l’italo-israeliano Yonatan Bassi, che coordinò per conto di Sharon alcune delle fase più complicate del progetto “Hitnatkut”. A partire dalla sfida del ricollocamento delle migliaia di sfollati, molti dei quali allontanati con la forza. «Recentemente sono stato in visita a Shomria, un kibbutz religioso nel sud d’Israele che ne ha accolti un bel po’», spiega Bassi. «È oggi un kibbutz fiorente, con oltre mille abitanti. La visita mi ha rafforzato in questa convinzione: è stato giusto farlo».
Vent’anni dopo, la stampa israeliana ricorda quegli avvenimenti e tasta il polso al paese anche alla luce delle dichiarazioni di alcuni ministri estremisti che vorrebbero riportare tutta la Striscia di Gaza sotto la sovranità israeliana. Secondo un sondaggio del Times of Israel, il 53,2% degli israeliani è contrario all’annessione anche solo parziale, mentre si dice a favore il 38,9%. La decisione di Sharon di ritirarsi unilateralmente nel 2005 «fu una risposta a una complessa serie di pressioni», osserva sul Jerusalem Post la giornalista Arieh O’Sullivan. «Stava perdendo due elementi chiave nella sua guerra contro il terrorismo palestinese: l’unità interna e un ascolto comprensivo da parte di Washington». Isaac Harel, esponente del sionismo religioso, sostiene su Haaretz che la decisione fu sbagliata perché gli insediamenti «erano una linea del fronte, dividendo i terroristi dalle comunità circostanti» e senza più un presidio sul territorio Hamas è cresciuto in modo esponenziale. Yedioth Ahronot racconta la storia di alcuni riservisti in forza all’esercito israeliano, nati e cresciuti negli insediamenti di Gaza, tornati nei luoghi dell’infanzia per via della guerra.

Adam Smulevich