ISRAELE – Nuova missione a Gaza, Della Pergola: «Strategia sbagliata», Cassuto: «Unica via»

Israele è diviso sull’annuncio del primo ministro Benjamin Netanyahu di voler occupare Gaza City. C’è chi contesta l’operazione, chi la sostiene, chi teme il costo umano e politico che ne deriverebbe. Anche tra gli italkim, gli italiani d’Israele, le posizioni sono diverse. Ma al momento, sottolinea a Pagine Ebraiche il demografo Sergio Della Pergola, «quelle di Netanyahu sono solo parole». Eppure la reazione internazionale è già scattata. «Il primo ministro ha fatto una serie di dichiarazioni – prima e dopo la riunione del gabinetto di sicurezza – del tipo: «noi faremo», «noi vinceremo». Ma per il momento non si è mossa una jeep, non è stato sparato un colpo per portare avanti l’operazione su Gaza City, eppure l’effetto sanzioni e condanna internazionale è già partito. È un processo alle parole di Netanyahu. Parole che io considero incoscienti, ma che non sono ancora realtà». Le reazioni occidentali, spiega il professore emerito dell’Università Ebraica di Gerusalemme, «dimostrano una malattia del sistema politico-mediatico, in particolare nei paesi europei, con cori di condanna per degli annunci». Una dinamica che, a suo avviso, va oltre i problemi interni di Israele e riguarda il modo in cui le notizie vengono raccontate e amplificate in particolare dai media occidentali.
Sull’operazione a Gaza, Della Pergola evidenzia invece «la distanza del premier dalla vita quotidiana del paese: per una campagna militare del genere servirà, secondo lui, un impegno di soldati enorme, con almeno 250 mila uomini e un ricorso massiccio ai riservisti già provati da mesi di servizio». Ma, osserva il demografo, la popolazione adulta tra i 20 e i 40 anni «è stremata da centinaia di giorni di servizio. Netanyahu questo lo ignora: i suoi figli vivono all’estero e non servono nell’esercito. Lui è completamente scollegato dalla vita reale».
Sul piano internazionale, avverte, un’occupazione di Gaza avrebbe un costo politico e diplomatico difficilmente sostenibile. «Solo l’annuncio ha già portato la Germania a sospendere la vendita di armi a Gerusalemme. Se l’Unione europea dovesse poi escludere Israele dal programma Horizon, le università perderebbero milioni di euro. A ciò si aggiungono possibili sanzioni commerciali di paesi come Canada e Australia. Israele non può reggere alla forza d’urto di avere contro quasi tutto il mondo occidentale».
Molto diversa la prospettiva di David Cassuto, architetto con un passato da vicesindaco di Gerusalemme. «Penso che sia l’unica maniera per porre fine al problema Hamas e per arrivare agli ostaggi sia l’operazione a Gaza City», afferma. A suo avviso, ogni proposta di cessate il fuoco rischia di essere sfruttata da Hamas «per prendere tempo», come avvenuto in passato. Per questo, sottolinea, «bisogna evitare di concedere loro questa possibilità».
Pur riconoscendo la necessità di una dialettica tra governo ed esercito, con l’opposizione del capo di stato maggiore Eyal Zamir per una larga operazione su Gaza City, Cassuto insiste sulla necessità di decisioni rapide: «Spero che alla fine Netanyahu e Zamir arrivino a una soluzione giusta e veloce. Non potrà essere una missione da quattro mesi». Le famiglie degli ostaggi in mano a Hamas contestano la scelta del governo perché temono per i loro cari. «Le famiglie degli ostaggi, ovviamente, guardano le cose dalla loro prospettiva», osserva l’ex vicesindaco. «Devono fare quello che pensano, non possiamo dare loro istruzioni su come comportarsi: sono loro quelli che soffrono di più. Però il governo deve prendere le sue decisioni pensando al bene complessivo del paese e ampliare la missione a Gaza per me è necessario per sconfiggere Hamas».
Quale costo pagherà però Israele per questo? Si chiede Della Pergola. «È una strategia completamente sbagliata dall’inizio alla fine. Forse, subendo gravissime perdite, dal punto di vista militare potrebbe anche riuscire: in teoria sì, si può radere al suolo Gaza. Ma il prezzo sarebbe talmente alto, talmente insostenibile sul piano interno e internazionale, che il risultato diventa impossibile. Per questo le dichiarazioni di Netanyahu restano per me parole al vento».
Daniel Reichel