7 OTTOBRE – Luisa Basevi: La solidarietà, base per ripartire

Nell’agosto 2024 ero in Israele e un’amica mi ha raccontato della sua esperienza di volontariato fatta a Kfar Aza, uno dei kibbutz vicini a Gaza distrutti il 7 ottobre. Le ho chiesto di mettermi in contatto con gli organizzatori del progetto e dopo un’ora ero già inserita nella chat dove circolavano notizie, foto, liste di volontari, divisione dei compiti. Sono dunque partita verso Kfar Aza e ci siamo ritrovati, il mio compagno ed io, al cancello del kibbutz di sera, accolti a braccia aperte dagli organizzatori.
Il progetto HaChita zomachat Shuv, ovvero Il grano torna a germogliare, è nato subito dopo il 7 ottobre su iniziativa di alcuni membri di un kibbutz del nord, Bet HaShita. Gli organizzatori si sono attivati per ripristinare il verde comune e curare i giardini delle case, la bellezza, in ebraico Noi (נוי). Nizan Sela, l’ideatore del progetto, insieme a Ido Farber, si sono trasferiti a Kfar Aza e sono rimasti lì fino al gennaio del 2025, quando hanno deciso di continuare il progetto al nord, a Kiryat Shmona.
Tutte le mattine alle 5 eravamo già in piedi. Gli attrezzi e i guantoni ci aspettavano fuori dalla casetta per il doposcuola dei bambini, rimasta intatta e trasformata nella dimora dei volontari. Per cinque-sei ore si lavorava nei giardini, sradicando erbacce, potando alberi, pulendo i prati. Verso mezzogiorno si tornava a casa, dove a turno si cucinava per poi mangiare in allegria. Il pomeriggio venivano persone a raccontare le loro storie: chi era scampato al massacro perché lontano da casa, chi era venuto da altri kibbutz in aiuto. C’era chi arrivava da ogni parte di Israele con quantità enormi di cibo per noi volontari. Un pomeriggio Nizan ci ha portato a vedere l’area del Festival Nova e il museo delle macchine abbandonate al momento del massacro del 7 ottobre. Siamo passati per Be’eri e per Nir Oz.
I volontari erano israeliani, accorsi per contribuire alla rinascita dei kibbutz, ma alcuni anche stranieri; con noi c’erano un’ebrea di Berlino e una di New York.
Eravamo tutti consapevoli dell’importanza di essere lì, in mezzo alle macerie delle case, alle foto dei rapiti e degli assassinati, ai giocattoli dei bambini, agli oggetti di vita quotidiana delle famiglie morte o sequestrate o sopravvissute e sfollate. Gli abitanti non sono ancora tornati a Kfar Aza, ma quando e se torneranno a vivere nelle loro case ricostruite, i giardini curati con amore da centinaia di volontari saranno un incentivo per riprendere la vita drammaticamente interrotta.


Luisa Basevi

(Foto dal progetto HaChita zomachat Shuv a Kfar Aza)