ENERGIA – Israele e Azerbaigian, il gas come ponte geopolitico

Di recente il ministero dell’Energia israeliano ha assegnato licenze per l’esplorazione di gas naturale nelle proprie acque economiche esclusive alla Socar, la compagnia statale dell’Azerbaigian. È la prima volta che un paese a maggioranza musulmana entra come partner diretto nella produzione di gas e non si limita, come avviene per Giordania ed Egitto, ad importarlo. Un passaggio che, da eccezione, potrebbe trasformarsi in prassi, sottolinea il vicedirettore di Ynet Ilan Levinsohn. «Quella che può sembrare una scelta controversa dovrebbe in realtà diventare il catalizzatore di una politica israeliana volta a rafforzare la sicurezza energetica nazionale attraverso partnership regionali». Secondo Levinsohn, la presenza di Baku nel settore energetico israeliano non solo diversifica le fonti di cooperazione, ma crea anche «leve geopolitiche che si estendono ben oltre i confini, in particolare verso l’Iran», vicino scomodo dell’Azerbaigian e molto attento ai legami con Gerusalemme.
Il legame tra i due paesi è già solido: nel 2023 Baku ha aperto un’ambasciata in Israele, e oggi fornisce oltre un terzo delle importazioni petrolifere israeliane. Per Levinsohn, la partecipazione azera nei progetti offshore, insieme a colossi come BP e NewMed Energy, «rafforza la posizione dello stato ebraico come potenza energetica regionale e apre la strada ad altri investitori interessati a entrare in un mercato stabile e strategicamente rilevante».
A dare un quadro ancora più ampio è Dean Shmuel Elmas sul sito economico Globes, secondo cui Socar vede Gerusalemme non solo come partner commerciale, ma come parte di una visione infrastrutturale che si estende fino alla Siria e alla Turchia. «Gli azeri considerano l’attuale rete di gasdotti israeliani come potenzialmente connettibile a quella turca attraverso la Siria, creando un corridoio energetico regionale».
Se questi progetti dovessero realizzarsi, scrive Elmas, Israele si troverebbe al centro di una rete energetica che collegherebbe più paesi mediorientali e del Caucaso, con benefici economici e diplomatici reciproci. «L’accordo Socar potrebbe segnare l’inizio di una nuova era, in cui Israele riduce la propria vulnerabilità energetica non attraverso l’isolamento, ma attraverso un’apertura calcolata. Quanto più gli attori regionali condividono gli interessi energetici del nostro paese, tanto più sicura sarà la risorsa e tanto più ampia sarà la sua portata diplomatica», commenta Levinsohn. Il governo, per il vicedirettore di Ynet, «dovrebbe adottare una politica chiara che consenta investimenti esteri attentamente controllati in ulteriori giacimenti, sotto la piena supervisione e con limiti di proprietà, per rendere il settore del gas israeliano non solo redditizio, ma anche più resiliente, stabile e sicuro». Più cinico il giudizio conclusivo di Elmas per cui l’obiettivo finale di Baku è «creare un sistema regionale integrato in cui tutti guadagnano, ma l’Azerbaigian più di tutti».