SCIENZA – In Israele il primo Istituto per lo studio della speranza

Dopo il 7 ottobre 2023 e due anni di conflitto, in Israele la speranza è diventata una risorsa difficile da alimentare. Per questo è necessario costruire percorsi per riaccenderla, spiega Benjamin Corn, oncologo e docente della Facoltà di Medicina dell’Università Ebraica di Gerusalemme.
Da questa convinzione è nato l’Istituto per lo studio della Speranza, della Dignità e del Benessere, sviluppato insieme all’organizzazione non profit Life’s Door e inaugurato a maggio presso la residenza del presidente israeliano, Isaac Herzog. L’istituto è il primo centro accademico al mondo dedicato a indagare la speranza con un approccio scientifico e multidisciplinare.
Alla cerimonia d’inaugurazione era presente Rachel Goldberg-Polin, madre dell’ex ostaggio Hersh Goldberg-Polin, assassinato da Hamas dopo 331 giorni di prigionia. «Per noi la speranza non era un’opzione, era un imperativo. L’unico modo per non cadere nella disperazione», ha raccontato Rachel.
«La speranza è uno stato d’animo e, allo stesso tempo, un insieme di abilità che ogni individuo può acquisire a condizione di concentrarsi su tre elementi fondamentali», ha spiegato a ynet Corn, che dirige il nuovo istituto. «È necessario avere un obiettivo. La speranza è orientata al futuro e quell’obiettivo deve essere significativo per te e plausibile da raggiungere. Poi, devi tracciare un percorso per raggiungere quell’obiettivo, anche se sai che la strada sarà costellata di ostacoli che potrebbero intralciarti. La persona speranzosa impara a aggirare questi ostacoli e, infine, deve mobilitare l’energia e la determinazione necessarie per intraprendere quel percorso».
Spesso, ha aggiunto l’oncologo, le persone sentono che è impossibile trovare uno scopo o una speranza quando affrontano sfide a livello nazionale, come riportare a casa gli ostaggi, perché ritengono di avere poca influenza. «Si ha l’impressione di aver perso la capacità di influire sugli eventi. Per superare questa sensazione, bisogna riportare la speranza nel proprio spazio personale e definire un obiettivo individuale. Se mi impegno in un percorso autentico, centrato su dove posso attingere forza, divento più ottimista nel mio ambito personale e questo, a sua volta, migliora la mia visione complessiva della vita. Da qui può nascere lo stimolo a connettersi con gli altri e verificare se insieme possiamo davvero incidere sulla società».
Le metodologie sviluppate da Life’s Door – come la mappatura della speranza e le visualizzazioni guidate – sono già state utilizzate con pazienti, caregiver e persone alle prese con traumi o malattie gravi, adattandosi di volta in volta alle esigenze dei partecipanti. Un esempio è il programma dedicato alle mogli dei riservisti feriti in guerra. «Riuniamo le donne per condividere le loro esperienze, confrontarsi sui problemi che affrontano e offrire loro l’opportunità di creare uno strumento personale per gestire la propria vita con speranza. Questo è molto importante», ha sottolineato Corn. «Col tempo, le partecipanti iniziano ad acquisire un senso di speranza, che considero un diritto fondamentale per ogni persona, in ogni fase della vita».
Tra i primi progetti dell’istituto figurano lo studio del dottor Adir Shaulov sulla possibile “contagiosità” della speranza e la creazione, insieme alla sondaggista Mina Tzemach, di un Indice nazionale della Speranza, ispirato all’Indice della Felicità, per misurare e rafforzare questo fattore nella società israeliana. «La radicalità di questa idea è che si tratta di una speranza molto pragmatica e raggiungibile», ha concluso Corn. «Se sei disposto a riflettere su chi sei, su cosa rende speciale la tua giornata, allora possiamo trovare un modo per collegarti a questi obiettivi attraverso i tuoi valori».
(Nell’immagine, Rachel Goldberg-Polin, il direttore dell’Istituto per lo studio della Speranza, Ben Corn, e il presidente israeliano, Isaac Herzog)