ISRAELE – La piazza chiede un referendum su un’intesa con Hamas

Per la sola manifestazione di Tel Aviv si parla di 350mila persone in piazza, alcune stime arrivano a 500mila. Secondo l’emittente Kan in tutto il Paese ieri si sarebbero radunate oltre un milione di persone per chiedere al governo di firmare un’intesa per la liberazione dei 50 ostaggi ancora prigionieri di Hamas e la fine della guerra a Gaza.
Tra gli interventi che hanno segnato la giornata si è distinto quello della famiglia di Alon Ohel, rapito il 7 ottobre 2023 e ancora prigioniero a Gaza. Dal palco di Piazza degli Ostaggi i suoi genitori, Kobi e Idit, hanno lanciato una proposta che ha acceso il dibattito: indire un referendum per decidere se il governo debba concludere un accordo con Hamas. Secondo un sondaggio di metà luglio del Canale 12 il 74% degli israeliani è favorevole a un’intesa che riporti a casa i rapiti e ponga termine alla guerra.
«Da quasi due anni viviamo un incubo senza fine», hanno dichiarato gli Ohel dal palco, sottolineando che l’attuale esecutivo non è stato eletto con un mandato per gestire la questione degli ostaggi. «Se qualcuno sostiene che non c’è una maggioranza pubblica a favore dell’accordo, allora che si sottoponga la questione a un referendum. È l’unico modo per accertare chiaramente la volontà del popolo. Il tempo per Alon e per gli altri ostaggi sta per scadere».
Il referendum impossibile
La proposta si scontra però con l’attuale quadro normativo. Intervistato dal sito ynet, il giurista Matan Gutman ha spiegato che in Israele non esiste oggi una base giuridica per un referendum di questo tipo: «La Legge fondamentale sul referendum riguarda un solo scenario, quello della cessione di territorio sovrano israeliano. In quel caso la consultazione è obbligatoria, salvo l’assenso di 80 membri della Knesset. Per tutte le altre questioni, la legge non prevede questa possibilità».
Gutman ha ricordato alcuni modelli internazionali: dalla Svizzera, dove 100.000 cittadini possono chiedere un referendum su qualsiasi tema, al Regno Unito, dove il Parlamento ha scelto di consultare la popolazione sulla Brexit, pur trattandosi di un voto non vincolante. «In sistemi parlamentari come il nostro il referendum può avere solo valore consultivo. La decisione finale spetta sempre alla Knesset», ha osservato Gutman.
Oltre agli ostacoli legali, resta aperta la questione politica: il governo non si è espresso ufficialmente, ma è improbabile che la maggioranza guidata dal primo ministro Benjamin Netanyahu sostenga una simile iniziativa.
Le accuse dal governo
Lo sciopero generale e le manifestazioni delle ultime 24 ore hanno ricevuto duri attacchi da parte della maggioranza. Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha accusato i manifestanti di «indebolire Israele e rafforzare Hamas». Esponenti vicino al capo del governo hanno parlato di una protesta «irresponsabile» che rischia di mettere a repentaglio la sicurezza nazionale.
Sul tono del dibattito è intervenuto, tra gli altri, il Jerusalem Post, che in un editoriale ha richiamato alla necessità di distinguere tra la causa e i metodi della protesta: «Non c’è dubbio che un’intera nazione voglia che i propri figli tornino a casa, solo il metodo è discutibile. Ma ciò che non può accadere è trasformarsi in nemici, è permettere che i disaccordi, profondi ed essenziali, ci delegittimino agli occhi gli uni degli altri». Il quotidiano ha criticato duramente anche le parole di Ben-Gvir: «Questo è proprio il tipo di conversazione indegna che non dovrebbe avere posto nel dibattito pubblico. Delegittima la causa collegandola a una questione non correlata ed è sordo a ciò che provano migliaia di persone e a ciò per cui 50 famiglie di ostaggi lottano giorno e notte».
Un concetto ribadito anche dal presidente d’Israele Isaac Herzog, recatosi ieri in Piazza degli Ostaggi a Tel Aviv. «Non c’è israeliano che non li voglia liberi», ha affermato Herzog, in riferimento ai rapiti. «Possiamo discutere di filosofie, ma in verità il popolo di Israele vuole che i nostri fratelli e sorelle tornino a casa».
L’appello degli ex ostaggi e le parole di Trump
In un video proiettato in Piazza degli Ostaggi, alcuni dei rapiti liberati nelle precedenti intese con Hamas hanno lanciato un appello al presidente Usa Donald Trump. «Presidente Trump, vogliamo ringraziarla per averci riportato a casa», ha affermato Naama Levy, mentre Iair Horn ha aggiunto: «Lei ha il potere di cambiare la storia, di essere il presidente della pace che ha posto fine alla guerra e ha riportato a casa tutti gli ostaggi». Gli ex ostaggi hanno avvertito che il protrarsi dell’offensiva israeliana a Gaza mette in pericolo i 20 sequestrati ancora in vita: «Ogni colpo, ogni attacco potrebbe essere quello che pone fine alla loro vita».
In queste ore Trump sembra però aver sposato la linea del governo Netanyahu. «Vedremo il ritorno degli ostaggi rimasti solo quando Hamas sarà affrontato e distrutto! Prima ciò avverrà, maggiori saranno le possibilità di successo», ha scritto il presidente Usa sul suo social, Truth.
(Nell’immagine, la famiglia di Alon Ohel, uno degli ostaggi ancora in mano a Hamas, durante la manifestazione a Tel Aviv per la fine della guerra – Foto Udi Hazoref di Galei Zahal)