UNIVERSITÀ – Guerra, appelli e boicottaggi: 150 docenti contro l’appello di cinque rettori

Negli atenei israeliani la discussione sulla guerra a Gaza e sulla possibile intesa con Hamas per il rilascio degli ostaggi è una costante. Il confronto tra docenti e studenti è acceso ma rimane nei limiti di un dibattito democratico, segno della vitalità dell’ambiente accademico israeliano. Alcune università hanno aderito alla grande manifestazione di domenica per chiedere la fine del conflitto e un accordo sugli ostaggi; in precedenza, cinque rettori avevano inviato al primo ministro Benjamin Netanyahu una lettera in cui sollecitavano un intervento urgente contro la crisi umanitaria nella Striscia.
Tra i firmatari figuravano i presidenti dell’Università Ebraica di Gerusalemme, del Technion di Haifa, dell’Università di Tel Aviv, della Open University e dell’Istituto Weizmann, che hanno richiamato il dovere morale di ridurre le sofferenze dei civili, pur riconoscendo la responsabilità primaria di Hamas. Un appello che ha suscitato un acceso dibattito soprattutto alla Bar Ilan University, dove circa 150 professori e docenti hanno diffuso un documento contestando i colleghi che avevano sostenuto l’iniziativa dei cinque rettori. Secondo i 150, «parlare di carestia significa cadere nella trappola propagandistica di Hamas», che sfrutta la crisi umanitaria «per accusare Israele e l’esercito israeliano di affamare deliberatamente la popolazione palestinese». I firmatari hanno poi invitato i colleghi «a non lasciarsi trascinare da appelli populisti e irresponsabili, che rischiano di rafforzare Hamas e ridurre le possibilità di riportare a casa gli ostaggi».
In questo clima di confronto, l’attenzione si concentra anche sull’ultima classifica Shanghai, il più noto ranking accademico internazionale che valuta oltre 2.500 università in base a indicatori come premi Nobel, pubblicazioni su Nature e Science e collaborazioni scientifiche globali. Tre atenei israeliani figurano ancora nella top 100 mondiale – il Weizmann, l’Università Ebraica e il Technion – ma tutti hanno perso posizioni. Il Weizmann è sceso al 71º posto, l’Università Ebraica all’88º e il Technion al 97º.
Un arretramento che preoccupa i rettori, legato non tanto alla qualità della formazione, rimasta molto alta, quanto alle crescenti difficoltà sul piano delle collaborazioni internazionali. La possibile esclusione di Israele dal programma europeo Horizon, che finanzia progetti di ricerca d’eccellenza, è vista come il rischio maggiore per la competitività del paese. «Avere tre istituzioni tra le prime cento è un risultato notevole, ma in un periodo segnato da pressioni senza precedenti dobbiamo essere vigili», ha commentato Asher Cohen, presidente dell’Università Ebraica. Dal Technion ricordano che, se rapportati alle dimensioni ridotte dell’ateneo, i risultati lo collocherebbero molto più in alto, ma avvertono che «il mantenimento di questo livello dipende dalle collaborazioni internazionali, messe a dura prova dai boicottaggi».