FERRARA – Ottolenghi (Meis): Parole malate, serve un argine

C’è un grande problema di parole malate. E dalle parole si sta passando ai fatti: viene chiesto di boicottare gli eventi sportivi, università italiane stanno troncando i rapporti con quelle israeliane, la tranquillità degli studenti è minacciata, in alcuni hotel non si può andare o si viene cacciati».
Guido Ottolenghi, imprenditore e presidente del Meis, il Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah di Ferrara, è molto colpito «dal clima sgradevole» di questi mesi. Lo riscontra anche nella città estense, dove il movimento propal «è piuttosto effervescente» ed è stato protagonista di episodi che hanno fatto parlare anche a livello nazionale. Tra i recenti casi di cronaca citati da Ottolenghi ci sono il manichino impiccato con il volto del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, posizionato da alcuni attivisti sullo scalone del municipio. E, degli scorsi giorni, l’esposizione della foto del giornalista gazawi Anas al Sharif la cui uccisione è stata rivendicata da Israele, che lo accusava di essere un membro attivo di Hamas, sul muretto del castello estense, accanto alla lapide in memoria delle vittime dell’eccidio perpetrato dai fascisti nel novembre del 1943. «Piegare i monumenti alle proprie convinzioni porta a svilire il significato di ciò che essi rappresentano. Ed è anche una violenza», ha dichiarato Ottolenghi in una intervista con il Resto del Carlino. Lo conferma a Pagine Ebraiche, dicendosi preoccupato per la china presa dalla rappresentazione degli eventi in Italia, anche per gli effetti di una più o meno consapevole riemersione di pregiudizi di matrice teologica.
«Bisognerebbe ricercare degli interlocutori, anche su fronti diversi, che siano disposti a parlare di questo argomento», sottolinea Ottolenghi. «E con loro realizzare un processo assimilabile a quello che avvenne negli anni Cinquanta e Sessanta con il mondo cattolico dopo la pubblicazione del libro Gesù e Israele di Jules Isaac».
Ottolenghi è al lavoro anche per promuovere momenti di dialogo “protetto” tra mondo ebraico e islamico «sui temi che creano divisione o rendono impossibile la convivenza: è un po’ la mia ossessione da sempre e vorrei realizzarla, anche perché nel panorama culturale europeo mancano spazi del genere».
Secondo Ottolenghi, la sfida è necessaria e «in linea con quella che è la tradizione dell’ebraismo italiano, spesso mediatore in passato tra diverse idee e religioni».

Adam Smulevich