MEDIO ORIENTE – Israele e Siria verso accordo sulla sicurezza, attesa per il 25 settembre

La data segnata in rosso sul calendario da Gerusalemme e Damasco è il 25 settembre. Quel giorno, secondo diverse fonti mediorientali, Israele e Siria potrebbero firmare un accordo di sicurezza sotto l’egida americana. Non un trattato di pace, non la normalizzazione dei rapporti: un’intesa limitata, circoscritta a questioni di sicurezza, che avrebbe comunque il valore di una svolta dopo decenni di ostilità e diffidenza.
Gli incontri diretti tra le due delegazioni – il ministro degli Affari strategici israeliano Ron Dermer e il ministro degli Esteri siriano Asaad al-Shaibani – si sono svolti a Parigi e a Baku, in Azerbaigian, con la mediazione dell’inviato speciale Usa Tom Barrack. Secondo il canale saudita Al-Arabiya, le parti avrebbero già trovato un accordo su circa l’80% dei punti in discussione, mentre restano divergenze sui dossier più sensibili: la presenza di forze israeliane in postazioni strategiche siriane e la gestione degli aiuti umanitari per la comunità drusa di Sweida.
Gerusalemme punta a blindare il confine settentrionale, evitare il ritorno dell’Iran nello scenario siriano e garantire la sicurezza della minoranza drusa, contro cui a metà luglio sono stati compiuti nella provincia di Sweida crimini di guerra e contro l’umanità, come da poco confermato dagli esperti dell’Onu. L’esercito israeliano ha rafforzato le posizioni oltre la linea del cessate il fuoco del 1974 e ha condotto operazioni aeree fino a Damasco con l’obiettivo di proteggere i drusi e contenere le milizie ostili.
Il presidente Ahmad al-Sharaa, noto in precedenza come al-Jolani e insediatosi dopo la caduta della dittatura di Bashar Assad, ha urgente bisogno di stabilità e di riconoscimento internazionale, sottolinea l’emittente Kan. Damasco punta a ottenere un alleggerimento delle sanzioni e a mostrare un volto pragmatico al mondo, ma non rinuncia alla rivendicazione del Golan. All’interno del regime siriano, tuttavia, non mancano resistenze: le aperture a Israele sono viste da alcuni come un cedimento inaccettabile.
Per Washington, l’intesa israelo-siriana rappresenterebbe un tassello della strategia regionale che mira a ridurre le tensioni e a costruire nuove convergenze contro l’Iran. L’amministrazione Trump spinge per un risultato che, pur lontano dagli Accordi di Abramo, possa essere presentato come un successo diplomatico concreto.
Il 25 settembre non segnerà la fine di una guerra mai dichiarata ma mai chiusa né l’apertura di ambasciate a Gerusalemme e Damasco. Se l’accordo sarà firmato, sarà piuttosto un patto tecnico di sicurezza: limitato, fragile, ma capace di fotografare un cambiamento di scenario in Medio Oriente, spiega il sito Walla.
Nel quadro del futuro siriano, avvertono gli analisti dell’Istituto israeliano per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale (Inss) Yoel Guzansky e Carmit Valensi, Israele non deve dimenticare il ruolo del Qatar. Doha è stata il primo paese arabo a riconoscere il nuovo regime di al-Sharaa e oggi è il principale finanziatore della ricostruzione, con progetti per miliardi di dollari che spaziano dall’energia ai trasporti, dalla sanità all’istruzione. Questa influenza crescente, rafforzata dal coordinamento con la Turchia e dal beneplacito di Washington, rischia di tradursi in un importante peso politico e ideologico del Qatar sul futuro assetto della Siria. Secondo Guzansky e Valensi, per Israele si tratta di un’arma a doppio taglio: da un lato gli investimenti di Doha contribuiscono a stabilizzare un paese in macerie, riducendo i rischi di collasso e quindi di ulteriori ondate di violenza ai confini; dall’altro, la vicinanza del Qatar ai Fratelli Musulmani e la sua agenda islamista rischiano di condizionare il profilo del nuovo stato siriano. «Un’eccessiva dipendenza dal Qatar e dalla Turchia», spiegano i due analisti israeliani, «potrebbe rafforzare le correnti radicali all’interno del regime e complicare ogni futura intesa di sicurezza con Israele». La raccomandazione di Guzansky e Valensi a Gerusalemme è di incoraggiare un coinvolgimento più ampio di altri attori del Golfo, in particolare Arabia Saudita ed Emirati, così da bilanciare l’influenza di Doha. «Solo diversificando i partner e condizionando gli aiuti a riforme concrete, Israele e i suoi alleati occidentali potranno evitare che la Siria di al-Sharaa diventi terreno fertile per una nuova radicalizzazione».

d.r.