ISRAELE/2 – «Lo sciopero non serve, la sicurezza è la priorità»

«Non è che io non capisca il dolore delle famiglie e la disperazione per gli ostaggi. Ma queste manifestazioni così come sono organizzate mi sembrano eccessivamente politicizzate e mi sembrano legate a quanto accadeva prima della guerra, alle proteste contro il governo per la riforma della giustizia. Non è solo dissenso verso le scelte: è un attacco continuo alle persone che le prendono». Da Gerusalemme Alessia Moscati Habib, guida turistica, spiega la sua contrarietà alle manifestazioni di piazza e agli scioperi organizzati in Israele per chiedere la fine della guerra e un accordo immediato per gli ostaggi.
Arrivata in Israele nel 2012 con il marito e due figli piccoli, Alessia ha visto crescere qui la sua famiglia: il maggiore oggi studia matematica e fisica all’Università Ebraica, il minore è appena diventato ufficiale dell’esercito. «Io stessa, da madre di un soldato, potrei dire basta. Ma non ci riesco. Ammetto di aver avuto un cedimento quando ho visto il rilascio di Eli Sharabi e degli altri alcuni mesi fa, dopo oltre un anno di prigionia a Gaza: erano pelle e ossa. Ma poi sono tornata a pensare che la soluzione non possa essere fermare l’operazione contro Hamas a ogni costo. La sicurezza della nazione viene prima di tutto, e chi governa deve pensare all’intero paese, non solo ai singoli».
Per lei, gli scioperi generali non sono un segnale utile. «Non che non si debba esprimere dissenso, ma così come viene fatto mi sembra poco costruttivo. L’ultima protesta era legata al timore per gli ostaggi legata all’operazione militare a Gaza city. Un pericolo reale come ha detto il capo di stato maggiore, ma bisogna anche domandarsi: le alternative sarebbero davvero migliori? Un accordo con Hamas che rimane al governo non è una soluzione».
Il nodo, insiste, non è negare il dolore, ma indirizzarlo diversamente. «Se proprio si vuole manifestare, io lo farei ogni giorno davanti ai camion di aiuti che entrano a Gaza. I nostri ostaggi sono lì da quasi due anni, non sono mai stati visitati dalla Croce Rossa, non hanno cure né beni di prima necessità. Eppure i convogli passano. Per me questa è la vera assurdità».
Per Alessia Moscati Habib non si può parlare di un accordo “a ogni costo”: fermare la guerra senza sradicare Hamas significherebbe solo rinviare il problema. «La priorità di chi governa deve restare la sicurezza nazionale», afferma, escludendo che il protrarsi del conflitto sia solo una strategia del primo ministro Benjamin Netanyahu per restare al potere. «Sono chiacchiere da bar. Non amo tutti i personaggi del governo, ma le uscite dell’opposizione mi sembrano divisive e poco costruttive».
Intanto il lavoro è fermo. «Il turismo è bloccato da quasi due anni. È il primo comparto a risentire delle tensioni, e la situazione è catastrofica».

d.r.