ISRAELE – Piazza e sondaggi chiedono un’intesa sui rapiti

Alle 6.29 è iniziata simbolicamente in Israele la nuova manifestazione nazionale per chiedere al governo di firmare un’intesa con Hamas, riportare tutti gli ostaggi a casa e mettere fine alla guerra. L’ora non è casuale: è quella in cui il 7 ottobre 2023 Hamas lanciò il suo attacco.
Dall’alba, migliaia di persone hanno bloccato strade e autostrade in tutto il paese, dall’Ayalon di Tel Aviv al Kvish (strada) 1 tra Gerusalemme e Tel Aviv, fino alla costiera Kvish 2. Cartelli con i volti dei rapiti, bandiere israeliane e pneumatici dati alle fiamme hanno trasformato gli incroci principali in luoghi di protesta. La polizia, dopo ore di ingorghi, ha riaperto le arterie al traffico.
In piazza degli ostaggi a Tel Aviv i famigliari dei rapiti hanno allestito un tavolo lungo e nero (nell’immagine), apparecchiato con piatti vuoti, davanti a file di sedie gialle con i volti dei loro cari sequestrati. Un’iniziativa di solidarietà a cui ha preso parte un gruppo di sopravvissuti alla Shoah: «Sappiamo cos’è la fame e cos’è la paura», ha sottolineato Colette Avital, ex parlamentare della Knesset, scampata da bambina agli aguzzini nazisti. «Non si abbandonano le persone. È ora di riportarli a casa», ha esortato.
Il Forum delle famiglie degli ostaggi da mesi critica il governo del primo ministro Benjamin Netanyahu. Anche in queste ore ha accusato il premier di sabotare gli accordi per motivi politici. «Abbiamo una nazione meravigliosa, ma non abbiamo un esecutivo», ha denunciato Einav Zangauker, madre del rapito Matan. Itzik Horn, che da 690 giorni attende il ritorno da Gaza del figlio Eitan, ha parlato di «una pugnalata al cuore delle famiglie e della nazione». Per Yehuda Cohen, che ha mostrato il video del rapimento del figlio Nimrod, «oltre l’80% degli israeliani vuole un accordo e la fine della guerra». I dati confermano le parole di Cohen. Secondo l’ultimo sondaggio commissionato da Maariv, quasi tre israeliani su quattro (73,8%) sono favorevoli a un accordo che riporti a casa gli ostaggi e chiuda il conflitto, contro il 26,2% che preferisce continuare a combattere. Tra gli elettori del Likud la maggioranza sostiene un’intesa (54,7%), e tra i sostenitori dei partiti dell’estrema destra quasi un terzo si dichiara pronto a fermare la guerra per liberare i rapiti. Tra i soldati la tendenza coincide con quella nazionale: il 73,9% ritiene che l’unica via sia un accordo sugli ostaggi, mentre cresce il numero di chi ammette un calo della motivazione a combattere.
Non tutte le famiglie dei rapiti però sostengono le proteste. Talik Gvili, madre dell’agente Ran, assassinato il 7 ottobre e la cui salma è stata sequestrata dai terroristi, considera le manifestazioni «un favore a Hamas perché alzano il prezzo dei rapiti». Secondo Gvili, solo un accordo globale o un’operazione di forza potrà chiudere la vicenda: «Non possiamo vivere di intese parziali che ci ingannano mese dopo mese».
Alla madre di Ran è stato anche chiesto un commento sull’ultima dichiarazione del presidente Usa Donald Trump secondo cui la guerra a Gaza avrà una «conclusione definitiva» entro due o tre settimane, citando una «seria spinta diplomatica» in corso. «Lo spero», ha risposto Gvili. «Vorrei che davvero ci fosse qualcosa che noi non sappiamo. Ma non mi fido: non ci sono scorciatoie, serve una vittoria chiara che riporti tutti a casa e ci permetta di dormire tranquilli».
Sul piano diplomatico, Stati Uniti e Qatar hanno chiesto a Hamas di presentare le proprie condizioni per chiudere il conflitto, ma il movimento terroristico non ha ancora risposto. Una delegazione egiziana è arrivata a Gerusalemme per preparare nuovi colloqui, mentre da Doha il portavoce del ministero degli Esteri del Qatar Majed Al-Ansari accusa il governo israeliano di temporeggiare: «Hamas ha già accettato, la palla è nel campo di Israele».
A Gerusalemme il gabinetto di sicurezza si è riunito per discutere i piani operativi su Gaza, ma l’accordo sugli ostaggi, spiega l’emittente Kan, non è all’ordine del giorno.