L’ANALISI/1– Una “terza via per Gaza”, il piano degli esperti di Tel Aviv

Mentre l’esercito israeliano si prepara a una nuova fase dell’operazione a Gaza, un gruppo di esperti dell’Institute for National Security Studies di Tel Aviv (Inss) critica l’attuale approccio militare e parla di «una situazione strategicamente insostenibile». L’analisi – firmata da otto ricercatori dell’istituto, tra cui Anat Kurz, direttrice dell’area ricerche – lancia un monito: «Dopo quasi due anni di guerra, Hamas non è stato sconfitto, gli ostaggi non sono tornati, e Gaza resta una minaccia instabile. Ma le opzioni sul tavolo sono troppo limitate e rischiose».
Per gli esperti, il governo guidato da Benjamin Netanyahu «ha ridotto il dibattito strategico a due sole alternative – o l’occupazione totale della Striscia, o un accordo che implicherebbe la permanenza di Hamas al potere in cambio della liberazione degli ostaggi. Entrambe le ipotesi sono inadeguate e potenzialmente disastrose».
Sarebbe invece possibile una “terza via”, che combini pressioni militari con una soluzione politica sostenuta a livello regionale e internazionale. Gli obiettivi dovrebbero essere portati avanti in contemporanea: rimuovere Hamas dal governo di Gaza, disarmarlo, garantire il rilascio degli ostaggi e stabilire un’amministrazione civile palestinese non legata a fazioni armate.
«Hamas non può fare parte del “giorno dopo”», sottolineano Kurz e colleghi. «È necessario creare un meccanismo multilaterale, guidato da Egitto, Stati Uniti e Autorità nazionale palestinese, che assicuri il disarmo del gruppo e la sua esclusione da qualsiasi assetto futuro». A Gaza, spiegano gli esperti, dovrebbe nascere una struttura amministrativa temporanea basata su tecnocrati palestinesi, con funzioni civili, e affiancata da una forza di polizia formata e controllata da un coordinamento internazionale. Nel frattempo, Israele manterrebbe il controllo del perimetro di sicurezza, incluso il Corridoio Filadelfia, e la libertà di azione necessaria a impedire la ricostituzione di capacità militari ostili.
Uno dei punti centrali della proposta riguarda il rilascio immediato di tutti i 50 ostaggi israeliani – di cui 20 ritenuti in vita – ancora nelle mani di Hamas. «Il ritorno dei rapiti deve avvenire in una sola fase e rappresentare la condizione iniziale per la fine della guerra e l’avvio della ricostruzione». Solo dopo Israele valuterà la liberazione di detenuti palestinesi, «ma sotto l’egida dell’Anp o dell’Egitto, mai sotto la gestione di Hamas».
Per gli esperti dell’Inss, questa proposta rafforzerebbe la legittimità internazionale di Israele: «Mostrare di aver cercato seriamente una via diplomatica metterebbe Gerusalemme in una posizione più forte per giustificare eventuali future operazioni militari, se Hamas dovesse rifiutare o sabotare l’accordo».
La proposta dovrà essere presentata al gruppo terroristico come un ultimatum, con tempi brevi e vincolanti. «Ritardi e ambiguità sarebbero usati da Hamas per riorganizzarsi e guadagnare tempo. È una finestra che va chiusa prima che si richiuda da sola».
Allo stesso tempo, l’implementazione del piano non si tradurrebbe nel riconoscimento automatico di uno stato palestinese, né al ritorno immediato dell’Anp a Gaza. «Serviranno riforme profonde all’interno dell’Autorità palestinese e un lungo periodo di transizione controllata. Solo allora si potrà parlare di un suo ritorno effettivo al governo della Striscia».
Secondo gli autori, questo approccio offre numerosi vantaggi: evita l’escalation militare, tutela la vita degli ostaggi e dei soldati, riduce i costi interni ed esterni, e prepara il terreno per una nuova architettura regionale, in cui Gerusalemme si troverebbe in una posizione centrale accanto agli attori arabi moderati.
«Senza una strategia alternativa credibile, Israele rischia di perdere sul piano militare, politico e morale», si legge in conclusione. «Il tempo non gioca a nostro favore. La “terza via” non è solo possibile: è ormai indispensabile».