LA RIFLESSIONE – Renzo Ventura: Cultura e Memoria combattano l’antisemitismo

Eccoci. Ci siamo.
Puntuale come il ferragosto, alla fine delle vacanze arriva la Giornata europea della cultura ebraica. Parente del Giorno della Memoria, se non altro perché pone in vetrina gli ebrei, morti e vivi, con le loro storie, con le loro particolarità, con le loro tragedie, con i loro principi, portati avanti per secoli e vissuti in mezzo a tutti e talora contro tutti.
In questi due giorni, così diversi tra loro, l’antisemitismo, se non la diffidenza – o meglio la distanza – si attenua, anche se non sparisce del tutto: forse si nasconde come un fenomeno carsico, a fronte di una serie infinita di manifestazioni e interventi.
Ora tutto questo non sembra più essere in sintonia con quello che vediamo e sentiamo quotidianamente.
Le sinagoghe, sempre sotto costante e rigida protezione anti attentati, nel giorno della cultura ebraica, insieme ai musei e ai cimiteri, aprono i loro cancelli per mostrare agli altri, se possibile, il nucleo della cultura ebraica in tutte le sue espressioni.
Incontri interreligiosi completano il quadro e affrontano, spesso con un serio dibattito, argomenti che il vasto pubblico, almeno fino ad oggi, è sembrato apprezzare: preti, imam, saggi e rabbini o altri si confrontano e subito dopo magari ci sarà un cuoco di livello che parlerà dei piatti tipici della cucina ebraica. Questo, che è sempre un argomento valido, spesso fa cadere le barriere più di ogni altra filosofia o religione. Discutere sui carciofi alla giudia o sulle roschette livornesi potrà contribuire alla pace degli animi e abbassare il livello dall’odio antisemita che cresce di giorno in giorno, anche in Italia? Allora prendiamola, questa strada delle ricette.
Quest’anno, però, non possiamo far finta di niente: l’odio per gli ebrei è sempre più in crescita e resta molto difficile pensare ad un generalizzato “volemose bene” quando fino al giorno prima e certamente anche dal giorno dopo, l’antisemitismo vero continuerà a dilagare.
E qui è opportuno porsi alcune domande.
Sono quasi 80 anni che Israele esiste: siamo sicuri che la popolazione, senza conoscere storia e diritto, ricostruisce il fatto solo come una contropartita risarcitoria agli ebrei delle camere a gas, con sei milioni di morti, e subito dopo pensa che i palestinesi siano oggi le vere vittime di tutta la storia? Con gli ebrei, tutti o quasi, israeliani o diasporici, nella veste dei nazisti?
E poi: ma tutto questo disprezzo antiebraico, che ora appesta la società, dove era finito per uscire in breve tempo così, generalizzato e violento?
Non sarà che l’antisemitismo, anche quello rimasto dalla Spagna e dalla Chiesa nei secoli, covava sotto la cenere, fermato solo da una impossibilità di farlo uscire, da una moda e da una mancanza di giustificazione? Non dobbiamo dimenticare che in Italia, dove tutti erano fascisti fino al giorno prima, dopo la guerra di fascisti non se ne trovava più uno.
E siamo arrivati fino ad oggi. Non è che per sbaglio di antisemiti nascosti ce ne erano già a migliaia, e fino ad oggi si sono tenuti dentro il loro infame pensiero?
Perché, a ben guardare, troppi sono gli antisemiti che in un così breve periodo sono usciti allo scoperto: hanno trovato l’alibi in un attimo, hanno cominciato velatamente a esprimersi contro Israele, poi sempre di più e adesso anche un solo ebreo di un piccolo paese sperduto può facilmente essere oggetto dell’odio antisemita.
Del resto, in tema di cultura generale, non solo ebraica, le nostre università con i loro professori, studenti e rettori ci hanno mostrato di tutto, il peggio del peggio, sia singolarmente che in collettivo.
Nessuno avrebbe potuto immaginare qualcosa del genere: dopo tanti anni sentirsi un’altra volta estranei nel proprio paese.
D’altra parte, a prescindere dalle aggressioni avvenute tra le calli, che non sono certo poca cosa, quando una città come Venezia per la Mostra del Cinema tollera la circolazione di volantini con l’immagine di una terra che gronda sangue, nel contesto di una carta geografica che non contempla l’esistenza dello stato di Israele, dal fiume al mare…, e nessun non ebreo si scandalizza, reagisce, grida forte, vuol dire che c’è indifferenza e tolleranza, se non accondiscendenza e concorso.
Venezia, gli ebrei, il ghetto, le sinagoghe famose nel mondo: se la cultura non è lì, dove la devo trovare?
E allora dobbiamo chiederci: qual è il prodotto delle Giornate della cultura ebraica e dei Giorni della Memoria: questo? Altro che cultura!
Se la cultura costituisce il ponte per un rapporto, il problema del ponte è con chi operare: con le università? Con chi boicotta di fatto la scienza, il sapere, la filosofia?
Oppure si dovrà cominciare a misurare la giornata della cultura con l’antisemitismo ormai profondo del paese?
Perché da qui dobbiamo ripartire: e questo potrebbe essere il tema da sviluppare nelle prossime giornate culturali sparse per tutta Italia. Altro che i carciofi alla giudia, con tutto il rispetto e apprezzamento per il buon piatto.
Oppure: che si incontrino i saggi e discutano solo di ricette, ebraiche e non: chissà se l’antisemitismo, a fronte del mangiar bene, non cominci a diminuire e sia limitato ad una valutazione differenziata e legittima dei godimenti del palato.

Renzo Ventura