SCUOLA E DINTORNI – Anna Segre: Le ragioni di un disagio
Rientro a scuola che fa venire voglia di scappare di nuovo in vacanza. È un sentimento comune, ma credo che quest’anno per noi insegnanti e studenti ebrei nelle scuole pubbliche sia un po’ più forte, dato il clima avvelenato con cui ci dobbiamo confrontare. Certo, la situazione della popolazione di Gaza è gravissima ed è più che comprensibile che molti sentano il bisogno di agire, schierarsi, prendere posizione; dunque è naturale che si moltiplichino appelli, mozioni, iniziative, dichiarazioni, ecc. Quello che sconcerta è il modo con cui tutto questo viene fatto.
Nel contesto della scuola, un luogo in cui prima di tutto si insegna a leggere e a scrivere, lascia interdetti la leggerezza e con cui vengono usate parole che pesano come macigni: “genocidio”, “resistenza” (riferito a Hamas), “sionista” usato come insulto, “dal fiume al mare”, ecc.
Colpisce anche il contrasto tra la dichiarata necessità di agire, fare qualcosa, non restare a guardare e la mancanza di una visione generale su quale potrebbe essere (oggi, non ottant’anni fa) la soluzione del conflitto israelo-palestinese. Senza questa visione generale (dove si vuole arrivare e con quali mezzi si ritiene che sia possibile arrivarci) anche le proposte apparentemente concrete, come per esempio i boicottaggi, finiscono per assumere una funzione esclusivamente simbolica. Come se l’unica cosa che conta fosse poter dire tra venti o trent’anni: io stavo dalla parte giusta perché ho firmato, manifestato, rifiutato di comprare il tale prodotto. Fortunatamente anche chi nelle scuole dichiara esplicitamente che Israele non dovrebbe esistere non sembra preoccuparsi eccessivamente di quali possano essere i mezzi concreti per distruggerlo. L’unico vero risultato è appunto il clima avvelenato che si viene a creare, che ovviamente non è di nessun aiuto alla popolazione di Gaza. Ma la scuola non dovrebbe insegnare ad assumersi responsabilità, a valutare le conseguenze delle proprie azioni, a porsi obiettivi concreti e trovare i mezzi adeguati per raggiungerli? Altrimenti perché si parla sempre di obiettivi e competenze?
Quando parlo di clima avvelenato non mi riferisco ovviamente alle differenze di opinione, che in una scuola democratica sono sacrosante; il problema è la mancanza di dialogo, i colleghi e compagni di classe che rifiutano qualunque confronto, con cui non si può parlare affatto oppure si può parlare solo a condizione di evitare determinati argomenti. La scuola non dovrebbe essere invece un luogo di incontro e di discussione?
Parole non pesate, mancanza di una visione generale, mancanza di dialogo. Tre difetti del mondo della scuola (ovviamente non posso che riferirmi alla mia esperienza personale) che sono alla base del mio disagio in questo momento. Se devo essere onesta con me stessa, però, non posso fare a meno di chiedermi: il mondo ebraico italiano è immune da questi difetti?
Anna Segre