L’OPINIONE – Alberto Heimler: O Hamas o la coesistenza
Il documento fondativo di Hamas del 2017 accetta i confini di Israele del 1967 ma allo stesso tempo, in sintonia con lo Statuto del 1988 che auspicava la distruzione di Israele e la sua sostituzione con uno Stato islamico, sostiene che tutta la Palestina è un territorio arabo (da qui lo slogan Palestina libera “dal fiume al mare”).
Questa tragica ambiguità di formulazione ha però contribuito a impostare i rapporti tra Hamas e Israele in termini di coesistenza. In fondo, dal 2017 Hamas ha implicitamente riconosciuto Israele, si diceva. E così fin dal biennio 2019-21 Israele formalmente chiariva che i rapporti con Gaza erano basati sul principio “calma economica in cambio di sicurezza”, tra l’altro aumentando considerevolmente, anno dopo anno, il numero di autorizzazioni ai lavoratori transfrontalieri. Addirittura il governo di Netanyahu di allora pensava a una tregua permanente. Entrambe le parti potevano trarne dei vantaggi: Israele evitava i continui conflitti e Hamas otteneva un miglioramento della situazione economica e un allentamento dei vincoli sugli aiuti finanziari con la possibilità di investimenti massicci nel sistema elettrico, idrico e fognario (adesso sappiamo bene a cosa si riferissero quando parlavano di investimenti infrastrutturali). Purtroppo, la tregua non fu mai raggiunta e tutto si interruppe, almeno temporaneamente, con la guerra di Gaza del maggio 2021. Nel biennio successivo il governo Bennett-Lapid riprese a concedere le autorizzazioni di lavoro agli abitanti di Gaza, promuovendo anch’esso un certo benessere economico in cambio della sicurezza di Israele.
Poi dal 2022, col nuovo governo Netanyahu, il flusso di lavoratori da Gaza aumentò considerevolmente sempre nella convinzione che ciò avrebbe evitato atti terroristici e guerre: 20-22.000 gazawi varcavano giornalmente il confine con Israele per lavorare, migliorando sensibilmente la situazione economica della Striscia. Tuttavia, altro che “calma economica in cambio di sicurezza”! Dopo il 7 ottobre 2023 è emerso che molti di questi lavoratori erano al soldo di Hamas e che da anni varcavano il confine per fornire informazioni sui dispositivi di sicurezza israeliani, sulla localizzazione degli insediamenti militari, sulla posizione delle telecamere di controllo ai confini. Insomma, il successo dell’attacco del 7 Ottobre era in gran parte dovuto alle informazioni logistiche da loro fornite. La popolazione israeliana si è sentita tradita da coloro che riteneva essere dei collaboratori, degli aiutanti, anche persone bisognose di aiuto.
In altre parole, per capire bene la risposta israeliana al massacro non basta fermarsi alla crudeltà efferata di quella carneficina e ai vent’anni di missili che giornalmente piovevano nel sud di Israele per mano di Hamas. Si è anche realizzata una perdita di fiducia quasi irrimediabile nella possibile coesistenza pacifica con una popolazione, quella di Gaza, che, a causa di Hamas, dei suoi metodi terroristici e del suo controllo totale sulla Striscia, prende ciò che può da Israele (la sicurezza economica) e poi attacca alle spalle ferocemente.
Ciò implica che gli obiettivi della guerra, la liberazione degli ostaggi e il disarmo di Hamas, sono nell’ordine indicato irrinunciabili per Israele (per la larghissima parte della popolazione israeliana), per un futuro di pace e di coesistenza. Al riguardo concordano la Lega araba nel suo recente documento di New York e l’Autorità Nazionale Palestinese nelle parole di Abu Mazen, che ha definito “cani” i militanti di Hamas. Troppo poco. Sarebbe al riguardo auspicabile se, per interrompere la guerra, l’Unione europea, magari assieme alla Lega araba e magari su sollecitazione dell’Italia, intervenisse con un’iniziativa diplomatica, individuando come prioritari gli obiettivi perseguiti da Israele, ossia la liberazione degli ostaggi e il disarmo di Hamas. Non ci sono scorciatoie. La continua demonizzazione di Israele a cui purtroppo assistiamo non favorisce il processo di pace. Al contrario lo rallenta. Sappiamo tutti bene che l’auspicato Stato di Palestina potrà semmai essere creato a fianco di Israele solo quando i fondamentalisti ne verranno cacciati. L’isolamento internazionale di Hamas ne è un primo indispensabile passo.
Alberto Heimler