BOLOGNA – Una casa del ridere, nel segno di Massarani, Cantoni e Formiggini

«Se sei venuto per vedere Woody Allen, Jerry Lewis, Borat o Mrs Maisel hai sbagliato mostra». È l’avvertenza con cui si apre la mostra La casa del ridere, in allestimento al Museo ebraico di Bologna per la Giornata Europea della Cultura Ebraica di domenica prossima. Curata da Alberto ed Emanuele Cavaglion, padre e figlio, l’iniziativa riscopre le radici di un umorismo ebraico meno mainstream: quello italiano, con un viaggio concentrato in pochi chilometri quadrati, in quella che i curatori definiscono «una terricciola minima, rusticale, su due confinanti stati padani, stretta fra la via Emilia e le anse del Po». Sono i luoghi dell’editore modenese Angelo Fortunato Formiggini, che nel 1938 si tolse la vita in seguito alla promulgazione delle leggi razziste, lanciandosi nel vuoto dalla torre Ghirlandina del duomo della sua città. E prima di lui del “re umorista” Alberto Cantoni, nato a Pomponesco nel 1841, che nel racconto Israele italiano elaborò un suo particolare punto di vista sull’identità ebraica, e del mantovano Tullo Massarani, di 15 anni più giovane, primo ebreo nominato senatore dal re d’Italia, che passò in rassegna duemila anni di humor partendo dallo studio del testo biblico.
«Questa mostra è la realizzazione di un antico sogno», spiega Alberto Cavaglion, studioso dell’ebraismo italiano e autore di importanti saggi su Primo Levi, Italo Svevo e altre figure che hanno segnato il Novecento ebraico. Da anni Cavaglion auspica di rinverdire uno dei progetti dell’eclettico Formiggini: una “casa del ridere” in cui tutti i popoli possano sentirsi affratellati conoscendosi «nei loro aspetti più simpatici e umani». La Geografia del Ridere tracciata dai Cavaglion parte da Poggio Rusco, in una corte signorile dove muove i primi passi Massarani, e poi da Pomponesco. «Un luogo che per altre vie ci è famigliare», sottolineano. Sulla piazza della cittadina fu infatti girato il remake del film del 1952 tratto dal libro Don Camillo di Giuseppe Guareschi. E nel popolare bar «danza sfrenata anche la Monella di Tinto Brass». Lo scopo della mostra (visitabile fino all’11 gennaio) «è consolare gli afflitti, dando a tutti la possibilità di non pensare alle brutture del mondo, almeno per mezz’ora», afferma Cavaglion padre. Con la speranza che, una volta tornato il sereno, una casa del ridere «di mattoni veri, sobria e accogliente, riscaldata dai nostri sorrisi, possa venire edificata, per donare speranza alle nostre anime inquiete e impaurite». Intanto c’è «l’enorme soddisfazione di aver lavorato fianco a fianco con uno dei miei figli, che firma le illustrazioni dei pannelli: è una mostra nata così, sul tavolo di casa».
a.s.