ANTISEMITISMO – Da Gand a Parigi, cultura e libertà sotto attacco

Non si placa l’eco sul caso di cui è stato suo malgrado protagonista Lahav Shani, il direttore della Filarmonica di Monaco escluso dal Festival delle Fiandre in programma nella città belga di Gand perché israeliano. Tra gli altri Olaf Zimmermann, il direttore esecutivo del Consiglio culturale tedesco, la definisce una decisione «del tutto sbagliata» e condanna chi pretende che gli artisti «si schierino a favore o contro lo Stato in cui vivono o da cui provengono». Frana quindi davanti alla realtà la speranza che «tempi simili fossero finiti». Per l’ambasciatore israeliano a Berlino, Ron Prosor, si tratta di «puro antisemitismo». Il diplomatico ha accusato gli organizzatori della rassegna di aver compiuto un «attacco frontale alla libertà artistica» ed esplicitato con la loro azione il concetto che «gli ebrei non sono benvenuti». Ferma anche la posizione dell’ambasciata tedesca in Belgio, che ha annunciato la fine della sua collaborazione con il festival. Il logo dell’ambasciata è stato così rimosso dal sito web della manifestazione e contestualmente i riferimenti ai concerti sono stati rimossi dai canali social dell’ambasciata.
È di queste ore anche un’altra allarmante vicenda, denunciata dal Museo d’Arte e Storia del Giudaismo di Parigi (MahJ): cinque ricercatori basati in Francia hanno annullato la loro partecipazione a una conferenza intitolata “Storie ebraiche di Parigi”, in programma il 15 settembre nei locali del museo, perché un programma di ricerca dell’Università Ebraica di Gerusalemme stava finanziando il viaggio di uno studente di dottorato. «Alcuni hanno sostenuto che la loro partecipazione equivaleva a sostenere il governo israeliano», accusa il MahJ in un comunicato. «Altri hanno semplicemente fatto riferimento alla guerra a Gaza per mettere in discussione l’organizzazione della conferenza». Sul caso è tra gli altri intervenuta Rachida Dati, la ministra della Cultura uscente: «Questi ripetuti appelli al boicottaggio di artisti, spettacoli, conferenze e blocchi di locali stanno diventando pretesti per un antisemitismo palese». Secondo Dati, «non è più una questione di opinioni, ma di giustizia e di politica penale».