ISRAELE – Attacco a Gerusalemme, fermato l’assalitore
Trump avverte: «Forse meno di 20 ostaggi vivi»

Dopo la strage in cui sei persone sono state assassinate a Gerusalemme, l’allarme terrorismo torna a scuotere la capitale. Alle porte della città, nell’hotel del kibbutz Tzuba, un palestinese di 42 anni del campo profughi di Shoafat ha accoltellato due ospiti. L’uomo, che lavorava per l’hotel, avrebbe gridato «voglio morire» prima di colpire. Una delle vittime è in gravi condizioni. L’attacco, compiuto da un cosiddetto «lupo solitario» – un attentatore improvvisato che agisce individualmente – è stato fermato grazie all’intervento di un agente di polizia fuori servizio, che con l’aiuto di altri ospiti è riuscito a immobilizzare l’aggressore.
L’episodio alimenta il timore di nuovi attacchi, compiuti senza premeditazione, non coordinate da gruppi organizzati e quindi quasi impossibili da prevenire. Questo tipo di minacce rappresenta oggi «una delle sfide più insidiose per i servizi di sicurezza israeliani», sottolinea l’emittente Kan. Ma la preoccupazione non si limita al fronte interno. Dal 7 ottobre di due anni fa, 45 ambasciate e consolati israeliani sono stati presi di mira in tutto il mondo: accoltellamenti, bottiglie molotov, esplosioni e tentativi di intrusione hanno colpito sedi diplomatiche da Pechino a Città del Messico, da Stoccolma a Londra. Una fonte dell’intelligence israeliana, citata dal Jerusalem Post, ha parlato di «un’ondata di attacchi senza precedenti dal 1982 a oggi».
Secondo valutazioni israeliane ed europee, attori come il regime iraniano sfruttano reti criminali locali per individuare e colpire obiettivi israeliani o centri ebraici. In Svezia, i servizi di sicurezza hanno già segnalato casi di questo tipo.
Alle minacce internazionali si aggiunge il nodo irrisolto degli ostaggi a Gaza. In un’intervista a Fox News, il presidente Usa Donald Trump ha dichiarato che «potrebbero esserci un paio di morti negli ultimi giorni» tra i 20 rapiti israeliani che Gerusalemme ritiene ancora in vita. Le sue parole hanno creato allarme tra le famiglie, che chiedono chiarimenti al governo di Benjamin Netanyahu e un accordo per la liberazione dei loro cari. Ma il negoziato indiretto con Hamas è fermo, riferisce ynet, mentre il primo ministro ha dichiarato di non voler firmare un’intesa «a ogni costo».
E intanto ha firmato un altro documento: il piano E1 a Ma’ale Adumim, che prevede oltre 3.400 nuove abitazioni e infrastrutture per circa un miliardo di dollari. Durante la cerimonia, Netanyahu ha ribadito che «non ci sarà uno stato palestinese: questo posto appartiene a noi».
Il progetto è stato contestato da diverse cancellerie europee, con cui lo scontro diplomatico si è fatto sempre più acceso. Le ultime dichiarazioni del primo ministro spagnolo Pedro Sanchez hanno ulteriormente inasprito il clima. Annunciando un embargo militare e nuove sanzioni contro Israele, Sanchez ha accusato Gerusalemme di genocidio a Gaza e ha lamentato che la Spagna non dispone di «armi nucleari o portaerei» per fermarne l’offensiva. Affermazione a cui Netanyahu ha replicato parlando di «palese minaccia di genocidio» contro lo stato ebraico. «A quanto pare, l’Inquisizione spagnola, l’espulsione degli ebrei dalla Spagna e lo sterminio sistematico degli ebrei nella Shoah», ha accusato il premier, «non sono sufficienti per Sanchez. Incredibile».

(Nell’immagine l’incontro tra il presidente Usa Donald Trump e una delegazione di ex ostaggi israeliani – Foto Casa Bianca)