MUSICA – Fischiando come Rusakov, correndo come Pietro Mennea

Paul Marcel Rusakov nacque a Marsiglia nel 1908 da immigrati ebrei ucraini di Rostov espulsi dalla madrepatria poiché ritenuti inaffidabili. In seguito, la famiglia si trasferì in Russia per partecipare alla propaganda sovietica; pianista strepitoso e compositore, nel 1925 mise in musica poesie di Aleksandr Blok e Vladimir Mayakovskij per un allestimento dello scrittore Daniil Kharms.
Nel giugno 1937 Rusakov fu arrestato con l’accusa di appartenere a un’organizzazione antisovietica e condannato alla fucilazione, pena commutata in dieci anni di lavori forzati che scontò nel Gulag K-231 di Vyatlag; qui allestì spettacoli musicali, aveva forti impulsi suicidi e tentò più volte di impiccarsi.
Mentre era ricoverato nell’ospedale del gulag dopo un ennesimo tentativo di suicidio, vide una donna che puliva il pavimento della stanza d’ospedale, alzò lo sguardo e fece per chiamarla; quella donna era sua madre, anche lei imprigionata nel medesimo gulag all’insaputa del figlio.
Da molto tempo madre e figlio né si vedevano né avevano notizie l’uno dell’altro; si scambiarono un immenso, interminabile abbraccio tra le lacrime ma furono separati e allontanati dalle guardie.Anni dopo Rusakov (nella foto) era ancora imprigionato ma in un altro gulag (fu rilasciato nel 1947) ed era assegnato all’ospedale di campo nel braccio dei moribondi, una sera notò un’anziana signora che giaceva in agonia su un letto, si avvicinò al capezzale…era la sua amata nonna e stava morendo.
Nei gulag e nei lager non c’era nulla di più devastante che scoprire la sofferenza di chi più amavi.
Rusakov riassemblò i cocci della propria esistenza e divenne il direttore del Circo di Leningrado; nell’età d’oro del circo, da quello a tre piste di Mosca a quello maestoso di Montecarlo con il principe monegasco sul palco reale, il circo era un luogo alternativo per fare spettacolo e tanta musica.
Il musicista ha un senso spiccato del pragmatismo e, contrariamente ad altri generi d’arte, non mette in versi o su carta il dolore ma lo esorcizza dissacrandolo nei momenti di pathos; persino nelle pagine pianistiche più toccanti scritte in prigionia e deportazione (Sonatina n.3 di Jean Martinon, 2° movimento del Prélude, Choral et Fugue di Emile Goué, 3° movimento della Sonata n.7 di Viktor Ullmann), immagino sempre il compositore con un sorriso beffardo alla Gioconda o Rusakov al circo di Leningrado con l’ultimo sorriso di sua madre stampato nel cuore tra tigri che saltano nel cerchio e trapezisti impegnati nel triplo salto mortale mentre fischietta pensando alla serata da sold out.
Strumento senza strumenti, il fischio ha in sé qualcosa di diabolico, ancora oggi è scaramanticamente vietato fischiare sulle imbarcazioni in mare aperto; i campi traboccavano di musiche con parti destinate al fischio e whistlers, mostruosi fischiettatori di professione.
L’artista ebreo tedesco Guido Gialdini, brillante esecutore di arie d’opera, Volkslieder e Ragtime era altresì un eccellente specialista dell’arte del whistle, documentato da cilindri fonografici Edison e dischi 78” (deportato a Birkenau, Gialdini fu ucciso il 16 aprile 1943), nel famigerato Hoten P.W. Camp di Mukden (Manchukuo) dove i giapponesi bollivano i prigionieri di guerra in enormi pentole il colonnello Edmund Jones Lilly scrisse la canzone My obsession nella quale il whistler si impegna in un lungo assolo; la sera nel Campo di internamento civile australiano di Hay un gruppo di internati ebrei con passaporto tedesco (considerati stranieri nemici dall’autorità britannica) si esibiva in un finto jazz fatto di scat e fischio usato con grande abilità.
Non ultimi gli ebrei tedeschi e austriaci giunti al porto di Douglas (Isola di Man) in piena guerra per essere internati attraversarono il borgo di Mooragh a piedi in fila per cinque fischiando con le mani in tasca, modo geniale per dissacrare la miope politica britannica sugli ebrei germanofoni e la guerra.
Nella distorsione antropologica corrente, se ripeti dieci volte la verità molti dubiteranno già dalla terza volta mentre se ripeti anche soltanto due volte la stessa menzogna verrà giù il teatro per la standing ovation che ti riserveranno; è il mondo attuale e in apparenza non possiamo farci nulla salvo scardinarlo nei suoi innegabili punti deboli ossia il vuoto cosmico della non cultura e non conoscenza.
La Memoria non ha nulla a che vedere con la commemorazione e il ricordo di uomini ed eventi passati, non è necrofilia; Memoria significa scavare nel terreno nuovi letti per il medesimo fiume, costruire la casa partendo dal tetto, vaccinare la logica malata e guarirla sino a trasformarla in paradosso (come si chiama la logica in quinta dimensione), gareggiare per i 200 metri come il grande Pietro Mennea (nella foto) e tagliare per primi il traguardo di un soffio non correndo ma marciando.
Per il musicista Pompei non va musealizzata ma riedificata, Masada va ripopolata attraversandola da un capo all’altro non correndo ma marciando; o magari fischiettando come gli internati di Mooragh o come Rusakov del Circo di Leningrado e del biblico, infinito abbraccio a sua madre nel gulag.
Francesco Lotoro