ISRAELE – La guerra a Gaza e le tensioni con l’Europa
Aumenta la popolazione ma sale il numero di chi emigra

L’avvicinarsi di Rosh HaShannah, il capodanno ebraico, coincide con il report dell’Ufficio di statistica israeliano sulla demografia dello Stato ebraico. Per il secondo anno consecutivo i dati sono segnati dal conflitto, con più emigrazioni che immigrazioni: nel 2024 hanno lasciato Israele 82.800 persone, a fronte di 31.100 nuovi immigrati, con un saldo negativo di oltre 51.000 unità. La popolazione ha superato i 10 milioni, cresce ancora ma con un ritmo più moderato. Resta però una società giovane e dinamica, anche se attraversata da fratture politiche e religiose e provata da quasi due anni di conflitto, scrive l’emittente Kan.
Conflitto il cui ultimo capitolo è l’offensiva via terra a Gaza City, definita necessaria dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ma contestata a livello internazionale. La manovra militare, ha spiegato ai giornalisti Gal Hirsch, responsabile israeliano per gli ostaggi, viene condotta con estrema cautela: «È chiaro che sarebbe stato possibile agire molto più rapidamente, ma con grande sforzo le Idf e lo Shin Bet stanno conducendo un combattimento prudente, che va contro i metodi standard di impiego della forza militare». Secondo Hirsch, la lentezza delle operazioni è funzionale a ridurre al minimo il rischio per i circa 20 ostaggi che Israele ritiene ancora vivi. Ma lo stesso Hirsch ha ammesso che gli ostaggi restano «in grave pericolo: si trovano in una zona di combattimento, in un luogo ad alto, nelle mani di spietati carcerieri». Ha definito la situazione un «fallimento» e ha accusato Hamas di aver ingannato Israele e i mediatori durante i negoziati estivi, diffondendo propaganda che alimenta il dolore delle famiglie e mina la coesione interna.
Mentre sul terreno la guerra continua, anche il fronte diplomatico si complica. La Commissione Ue ha proposto la sospensione delle clausole commerciali dell’Accordo di Associazione Ue-Israele, insieme a un pacchetto di sanzioni contro i ministri dell’ultradestra Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, oltre che «contro coloni violenti e membri di Hamas». Secondo il sito israeliano Makor Rishon, la sospensione riguarderebbe le disposizioni che garantiscono a Israele l’accesso preferenziale al mercato europeo: in caso di approvazione, le esportazioni israeliane sarebbero gravate dagli stessi dazi doganali di un paese privo di accordi di libero scambio. Bruxelles giustifica la misura invocando l’articolo 2 dell’accordo, che consente di sospendere le intese in caso di violazione dei diritti umani, citando «il rapido deterioramento della situazione umanitaria a Gaza, il blocco degli aiuti, l’escalation militare e i piani di insediamento nell’area E1 in Cisgiordania».
«L’obiettivo non è punire Israele, ma migliorare la situazione umanitaria a Gaza», ha sostenuto la responsabile della politica estera dell’Unione europea, Kaja Kallas. Israele ha reagito con durezza: il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar ha definito le misure «moralmente e politicamente distorte» e ha accusato la presidente Ursula von der Leyen di voler «rafforzare Hamas e danneggiare Israele», promettendo una risposta adeguata.
Alle tensioni internazionali si sommano quelle interne. La nomina del generale in pensione David Zini a capo dello Shin Bet, voluta da Netanyahu, ha provocato la protesta di oltre 260 ex funzionari dell’agenzia di sicurezza. In una lettera pubblicata dall’emittente N12, hanno avvertito che le dure posizioni di Zini sul sistema giudiziario rischiano di minare l’equilibrio tra esigenze di sicurezza e valori democratici, soprattutto in caso di conflitto tra le decisioni della Corte Suprema e le direttive del governo.
(Nell’immagine, il responsabile degli ostaggi Gal Hirsch, a sinistra, in un incontro con il premier Benjamin Netanyahu )