LA POLEMICA – Emanuele Calò: Il merito che dal ministero non passa in televisione

Gli ebrei non sono più deicidi. In compenso, Israele sarebbe genocida. Noi ce lo facciamo dire, ripetere e insistere. È tutta colpa nostra se ce lo facciamo dire, ripetere e insistere, perché accettare un falso, in questo caso, comporta il rilascio del certificato virtuale di reietti. In Italia abbiamo dei maîtres à penser, che così si sono espressi:

a) Luca Ricolfi: «Molti cosiddetti scienziati sociali non si accontentano di studiare (e spiegare) come la realtà funziona, ma sono inclini a ritoccarne più o meno pesantemente la rappresentazione, nella presunzione che così facendo possano facilitare la causa in cui credono» (…) «L’esempio più clamoroso (e attuale) di questo intorbidimento della lingua è l’uso del sostantivo “genocidio” per descrivere i crimini di guerra di Israele. Basta leggere attentamente e per intero, la definizione ONU del 1948 per accorgersi che, nel caso della guerra a Gaza, mancano i presupposti. La definizione Onu, infatti, richiede che siano presenti due elementi, entrambi indispensabili per integrare il crimine di genocidio: un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso e la volontà di distruggerlo “in quanto tale”.  Nel caso della guerra in corso a Gaza, i due elementi sussistono, ma in forma scissa, ossia con due diversi referenti. Israele ha sì l’intenzione di distruggere in toto Hamas, ma Hamas non è un “gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. I palestinesi, d’altro canto, sono effettivamente un “gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”, ma verso di esso manca “l’intenzione di distruggerlo in quanto tale” (…) Credere o far credere che il governo di Israele voglia davvero lo sterminio dei palestinesi in quanto gruppo etnico non aiuta certo a individuare le vere (e gravi) responsabilità di Israele, e meno che mai a fare passi avanti nella costruzione di uno Stato palestinese»;

b) Ernesto Galli della Loggia: «Ce n’erano parecchie, anche le più crude, che potevano dare un’idea di quanto accadeva a Gaza: strage, massacro, eccidio. E invece no: genocidio. Una sorta di “apriti Sesamo”, di parola magica, l’unica, si direbbe, idonea a spalancare la porta alla verità delle cose e alla massima indignazione possibile: genocidio! genocidio! E dunque tutti a gridarlo, a scriverlo, a ripeterlo: convinti, compunti, inorriditi come si conviene. (…) due osservazioni. (…) Loro, gli israeliani, nella metà del tempo sono riusciti a eliminare poco più di sessantamila persone: una vera debacle! Una prova d’inefficienza, d’inettitudine, d’incompetenza (…). Chi oggi grida al genocidio come se nulla fosse (…) sta contribuendo a ridisegnare la storia? (…) banalizzare (…) Auschwitz e l’Holodomor? A “normalizzare» quei carnefici e i loro delitti, a compiere un’operazione di revisionismo storico che non ha eguali»;

c)       Michele Magno: «La guerra non si vince solo con i carri armati ma con lo storytelling (…) Tuttavia, la trappola non avrebbe funzionato senza la complicità delle democrazie europee. Esercitando pressioni sul paese attaccato piuttosto che sui sequestratori».

Potrei soggiungere – sommessamente – che il diritto è semplice assai: si sussume la fattispecie concreta nella più vasta cornice della previsione normativa. Nel farlo (Convenzione ONU del 9 dicembre 1948 per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio) si vedrà che l’azione israeliana non rientra nel suo disposto.

Il genocidio è ciò che Hamas ed Hezbollah hanno tentato. D’altronde, come si può ipotizzare che Israele voglia il genocidio se un quinto della sua popolazione è formata da arabi mentre nei Paesi arabi non ci sono più ebrei? Non ho ragione di tessere le lodi di nessuno, soprattutto in un frangente così tragico; nondimeno, è davanti agli occhi di tutti che, se Israele sposta la popolazione, lo fa per sottrarla a un teatro di guerra: genocidio strano quello in cui si fa di tutto per evitare vittime civili.

Infine, vorrei rammentare che nei teatrini televisivi non vedrete i nostri migliori cervelli (ad  esempio, Ernesto Galli della Loggia, Luca Ricolfi, Michele Magno, Ugo Volli, Sergio Della Pergola, Roberto Della Rocca, Riccardo Di Segni, Gianfranco Di Segni) ma soltanto o soprattutto il popolo della televisione. Intendiamoci, persone degnissime, ma non sempre i più preparati. Talvolta, non sempre. Non basta intitolare un dicastero (anche) al merito, poi bisogna tradurre le parole in fatti, ed è lì che iniziano i problemi

Emanuele Calò