USA – L’uovo di Colombo per far crescere una comunità

Beth Sholom, la sinagoga progettata da Frank Lloyd Wright in Pennsylvania, non è soltanto un gioiello architettonico: come racconta il Forward, negli ultimi anni è diventata anche un laboratorio sociale. Mentre molte comunità ebraiche negli Stati Uniti faticano a trattenere membri e a garantire la continuità educativa, questa congregazione ha visto crescere le famiglie iscritte e triplicare la frequentazione del suo asilo, che oggi conta più di novanta bambini. La chiave di questo successo sta in un’idea semplice ma incisiva: collegare il sostegno economico alla partecipazione attiva. La scuola offre infatti sconti fino al 40% sulle rette, ma chiede in cambio ai genitori di prendere parte ad almeno otto appuntamenti comunitari all’anno, al di fuori dell’orario scolastico. Non si tratta di un obbligo sterile: gli incontri vanno da un Seder di Pesach condiviso a uno Shabbat speciale con studio della Torah dedicato ai genitori, occasioni che trasformano il “dovere” in opportunità di incontro. Così il risparmio non è soltanto un incentivo economico: diventa un meccanismo che trasforma le famiglie da utenti passivi in protagonisti della vita comunitaria. Il risultato è una scuola che non è solo un servizio, ma il cuore pulsante di una sinagoga che ha ricostruito legami fornendo un nuovo senso di appartenenza. La cornice non è secondaria: Frank Lloyd Wright progettò Beth Sholom negli anni Cinquanta, poco prima della sua morte, realizzando una delle sue opere più sorprendenti: un edificio a forma di tenda luminosa, pensato per evocare il Sinai e la fragilità della dimora nel deserto. La struttura in vetro e cemento, entrata in uso nel 1959, riflette la luce naturale di giorno e brilla come una lanterna di notte, rendendo visibile da lontano l’idea di una comunità in cammino. È dentro questo spazio carico di simboli che il modello “sconto in cambio di partecipazione” acquista forza, perché lega l’innovazione sociale a un’opera architettonica che già in origine voleva raccontare la vitalità e la resilienza dell’ebraismo.