ROSH HASHANÀ – Noemi Di Segni (Ucei): Una tradizione che ci dà forza

Mancano poche ore all’avvio del nuovo anno. Preparativi che fervono nelle famiglie, ricette ispirate e di obbligata tradizione, arrivi, partenze, pentole stracolme nel timore che non basti mai, tavole che vengono apparecchiate con cura, corse per trovare i datteri quelli giusti, i fichi quelli maturi, i melograni quelli rossi, grano sul tavolo che completa le composizioni floreali. Libricini per la serata e i Mahzor individuati sullo scaffale. I vestiti e la camicia per il tempio perché quella del Seder si sporcherà durante il pasto. Tutto questo sembra così normale e rafforza il nostro sentirsi parte del popolo ebraico e della comunità: immergersi nel ritmo di questi ultimi giorni di programmazione casalinga di Rosh Hashanà, Kippur, Sukkot e Simchà Torà, per la sistemazione dei nostri templi che accoglieranno migliaia di persone riunite per le solenni preghiere, nel rito specifico e nel ritmo che ci appartiene e che abbiamo tramandato. Reiteriamo quanto vissuto lo scorso anno, due anni fa, per anni, per decenni. Per un attimo ci illudiamo che tutto è normale, oppure – è questa la verità – ci sforziamo a vivere anche questa dimensione di spensieratezza e gioia nei preparativi delle festività imminenti, nonostante il dolore, il trauma e il lutto. O forse proprio perché abbiamo subito il massacro del 7 ottobre 2023 e gli attacchi che continuano che dobbiamo trovare la forza per rispondere con la vita che va avanti a chi desidera il nostro annientamento, il nostro silenzio e la nostra sopraffazione con slogan e odio antisemita. Il nostro Popolo ha vissuto prove di sopravvivenza, in Israele e nella Diaspora, e sappiamo bene che la spensieratezza non è mai superficialità e banalità del momento, ma è sempre l’evidenza della forza di reazione che solo una comunità e un popolo resiliente possono avere. Le nostre case e tavole rumorose sono la risposta alle manifestazioni e alle minacce. Dopo un lungo mese di selichot e introspezione, ci prepariamo per le preghiere solenni, le scuse che porgiamo ai nostri più cari, amici e vicini, la ricerca di verità e di sincerità. Questo è l’animo che condividiamo in questi giorni – cercare dentro di sé giustizia e verità e rivolgere suppliche verso il nostro D-o che giudicherà ciascuno di noi viventi anche in base a questo sforzo. Il tribunale dei cieli guarda all’anima. Il mondo intorno a noi, al contrario esatto, ha scelto di cedere al verbo della propaganda, di leggere i nostri testi sacri in modo distorto, di istituire tribunali, di giudicare, isolare, boicottare e decretare unicamente in base alla menzogna e alla rappresentazioni false della realtà. E se il fine della giustizia è anche quello della pacificazione, non è quella che viviamo ogni giorno, ma una giustizia a rovescio che ha le sue radici profonde nel pregiudizio e nella persecuzione.
Con l’inizio del nuovo anno che contiamo dalla Genesi e la Creazione dell’uomo e della donna, al 5786° anno che si avvia, noi continueremo convintamente a credere nel bene che la nostra tradizione, saperi e valori ebraici possono donare ogni giorno, ogni anno al mondo e all’umanità intera.
L’augurio che rivolgo a tutti di Shanà Tovà, per trovare assieme la forza di andare avanti, sperare che i “Yamim Noraim” siano solo questi prossimi dieci giorni – di Solennità tra Rosh Hashanà e Kippur – e che arrivino giorni meno gravi e ritorno alla vita delle fatiche ordinarie. Con il ritorno degli ostaggi. Mi unisco alle preghiere per l’incolumità di tutti coloro che difendono Israele e le nostre comunità, guarigione per tutti coloro che vivono nel trauma e nel dolore, e nel ricordo di parenti e amici che non sono più in questo Rosh Hashanà accanto a noi, ma ci hanno lasciato i loro speciali ricordi, modi di dire e di fare che ci accompagneranno in queste sere di unione per le nostre famiglie e comunità.

Noemi Di Segni, presidente UCEI