ISRAELE – Eilat tra attacchi Houthi e alberghi pieni per Sukkot

Durante l’attacco degli Houthi al centro commerciale di Eilat, l’ultimo di una lunga serie contro Israele, Hanna Gamarsani non è riuscita a distinguere se il rumore che aveva sentito fosse davvero un’esplosione. «Ero seduta fuori, ho sentito l’allarme e sono corsa in hotel», racconta a Ynet. «Poi la deflagrazione sopra la mia testa. Mio marito era con me, ma non sapevo dove andare. Ero sotto shock, tremavo». Gamarsani è rimasta ferita in modo lieve, ma ha descritto soprattutto la paura: «Non sapevo nemmeno se ci fosse un rifugio vicino. Alla fine ci siamo nascosti in un magazzino».
Ieri sera, a causa del drone esplosivo lanciato dallo Yemen, all’ospedale Yoseftal sono arrivate 48 persone: due in condizioni gravi, una in condizioni moderate, le altre con ferite leggere o sintomi d’ansia. «In pochi minuti il pronto soccorso era pieno», ha spiegato a Kan Daher Agbariya, responsabile dei servizi di emergenza. «Siamo addestrati a gestire scenari di maxi-emergenza e possiamo trattare fino a 250 pazienti. Ma la verità è che in un evento con molte vittime Eilat sarebbe scoperta».
Il sindaco Eli Lankri ripete lo stesso timore in tutte le interviste: «Se ci fossero stati più feriti gravi, non saremmo stati in grado di garantire cure adeguate. Le lacune nei servizi sanitari qui sono enormi. Abbiamo i peggiori servizi medici dello stato di Israele. È ora di intervenire». L’ospedale Yoseftal ha 65 posti letto e un pronto soccorso non protetto: i reparti più delicati, come maternità e dialisi, avranno spazi sicuri solo nel 2028.
Negli ultimi mesi Eilat è diventata un fronte sempre più caldo del conflitto. Dall’inizio della guerra a Gaza circa 300 droni sono stati lanciati dai ribelli yemeniti verso la città, dieci dei quali hanno superato le difese e sono esplosi in aree civili. Hanno colpito l’aeroporto Ramon, l’ingresso dell’hotel Jacob e, ieri sera, il cuore del distretto turistico, tra negozi, bar e pub. «Gli allarmi non sempre suonano», ha lamentato una residente della città. «Ieri ho avuto un attacco di panico, correvamo senza sapere dove portarci i bambini. La città non è pronta per la guerra».
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha telefonato al sindaco di Eilat per garantire sostegno e promesso: «Ogni attacco alle città israeliane sarà seguito da un duro e doloroso colpo contro il regime terroristico degli Houthi». L’esercito lavora a rafforzare ulteriormente le difese aeree nel sud e c’è un’indagine aperta per capire perché il drone non sia stato intercettato.
Accanto alla paura, ci sono i danni economici. Thomas Levy, proprietario del bar Bardak, ha visto il locale appena ristrutturato nuovamente danneggiato: «Siamo alla vigilia di Sukkot, dopo due anni di calo la città non regge altri colpi. Le pratiche burocratiche sono lente, sembra che nessuno abbia fretta di rimetterci in piedi», ha spiegato a ynet Levy.
Eppure, sottolinea il quotidiano israeliano, Eilat continua a riempirsi. «Non ci sono cancellazioni per Sukkot», sottolinea Itamar Elitzur, direttore dell’associazione albergatori. «La città è quasi al completo: il 90% delle camere sono piene. È tutto turismo interno. Gli hotel sono preparati, le procedure funzionano, le persone vogliono continuare a vivere». Anche Lior Raviv, ceo della catena Isrotel, conferma: «Nessuno ha lasciato gli hotel dopo l’attacco. È finita, e basta. La gente in Israele è abituata ad affrontare le emergenze».
Gli Houthi hanno preso di mira il simbolo stesso del tempo libero israeliano: il Mar Rosso, il turismo, l’economia stagionale. «I nemici vogliono distruggere la nostra routine», ha commentato il sindaco Lankri. «Il modo migliore per rispondere è non lasciarglielo fare».