MEDIO ORIENTE – Siria-Israele, tra aperture storiche e cautele: l’era di al-Sharaa alla prova

Una nuova Siria dove gli ebrei possano tornare e con rapporti privi di tensione con Israele. È quella che sembra configurarsi, con molti punti interrogativi, sotto la guida di Ahmed al-Sharaa. L’uomo forte di Damasco, con un lungo passato da jihadista, è stato il primo leader del suo paese a parlare alle Nazioni Unite dal 1967. Al Palazzo di Vetro a New York, davanti all’Assemblea Generale dell’Onu, al-Sharaa ha promesso di rifondare il paese e perseguire i responsabili delle violenze settarie. «La Siria oggi si sta ricostruendo creando un nuovo stato, istituendo istituzioni e leggi che garantiscono i diritti di tutti senza eccezioni», ha dichiarato, chiedendo ai leader del mondo di revocare le sanzioni contro la Siria.
C’è chi dubita delle sue parole alla luce dei crimini compiuti in estate nel sud del paese contro la comunità drusa; ma l’attesa è ora per l’annunciato accordo di distensione con Israele. Secondo l’amministrazione Usa, sarebbe ormai «completo al 99%» e l’arrivo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a New York dovrebbe imprimere una spinta decisiva.
Secondo fonti dei media americani e israeliani, l’intesa prevede un ritiro graduale delle forze israeliane verso le linee del disimpegno del 1974 – con la possibile eccezione di due avamposti sul monte Hermon – e la creazione di una fascia smilitarizzata nel sud siriano, articolata in zone con diversi vincoli relativi ad armamenti e presenze. Damasco dovrebbe impegnarsi a non consentire l’uso del proprio territorio per attacchi contro Israele, a contenere l’influenza iraniana e a garantire la partecipazione politica delle minoranze. In cambio, Gerusalemme non dovrà interferire negli affari interni siriani e riconoscere il governo di al-Sharaa. Restano però nodi sensibili: le modalità di verifica sul campo del rispetto degli impegni, la concreta capacità del nuovo regime a farlo e la tutela delle minoranze, in particolare quella drusa, legata a Israele.
Un segnale di apertura verso le minoranze è arrivato a New York, alla vigilia del discorso di al-Sharaa all’Onu. Il leader siriano ha incontrato centinaia di membri della diaspora, fra cui undici rappresentanti della comunità ebraica newyorkese. Durante l’evento due persone si sono alzate per dichiararsi «ebrei orgogliosi» e uno di loro, David Shelly, ha offerto pubblicamente fondi per la ricostruzione della Siria. al-Sharaa ha rifiutato, pur ringraziando: un gesto simbolico di riconciliazione, secondo Joe Jajati, ebreo di origine siriana, presente all’incontro. A Ynet Jajati ha espresso un cauto ottimismo per i prossimi sviluppi: «al-Sharaa rappresenta la Siria sulla scena mondiale, e questo è già un enorme progresso. Sono orgoglioso, oggi posso camminare a testa alta e identificarmi come siriano». Tra i presenti anche il rabbino Yosef Hamra, esiliato dalla Siria nel 1992 e oggi leader della comunità ebraica siriana di New York.
Non sono mancate domande delicate: un partecipante ha chiesto se il regime avrebbe istituito un ufficio per la tutela dei diritti violati dei cittadini e se intende avviare istituzioni con caratteristiche più democratiche. Secondo Jajati, al-Sharaa ha risposto di sì. «Ma le persone sono ancora caute: non sono abituate a parlare apertamente con un leader siriano. Portano ancora le cicatrici del regime di Assad e ci vorrà del tempo prima che si sentano libere da quel peso».
Un bilancio positivo, tra speranza e realismo, lo hanno tracciato Carmit Valensi e Amal Hayek dell’Institute for National Security Studies di Tel Aviv. Per i due ricercatori, l’intesa in discussione tra Damasco e Gerusalemme rafforzerebbe «la posizione di al-Sharaa, la sua legittimità interna e l’immagine della Siria come stato sovrano pienamente riconosciuto», mentre per Israele «un accordo potrebbe tradurre i successi militari in stabilità diplomatica, garantire un confine sicuro, indebolire l’influenza iraniana e rafforzare la posizione strategica del paese».
I due studiosi avvertono tuttavia che «la fragile situazione in Siria e l’incertezza sul nuovo regime richiedono che Israele resti cauto e si prepari a scenari in cui il regime siriano potrebbe non essere in grado, o non essere disposto, a mantenere i propri impegni». Allo stesso tempo, aggiungono, Gerusalemme «non deve perdere la rara opportunità che si presenta».
Cautela è stata espressa anche da al-Sharaa: «I colloqui stanno procedendo», ha affermato, chiarendo che non si tratta ancora di un accordo di pace. Per il presidente siriano, un’intesa di sicurezza è «una necessità» e potrebbe aprire la strada a «ulteriori intese».