SCAFFALE – Israel, Ismael e la pace

Il libro di Marcello Del Verme, Angeli su Israel e Ismael in attesa della pace (La Valle del Tempo, collana “Biblioteca di scenari”, diretta da Pasquale Giustiniani, Napoli, 2025, pp. 136, euro 16) rappresenta un vibrante grido dolore di fonte all’attuale conflitto che insanguina il Medio Oriente. Una tragedia che, seminando morti, lutti e distruzione, lacera le coscienze e sembra distruggere quei difficili canali di dialogo che, nonostante mille difficoltà, si era cercato di costruire tra popoli separati da un pesante passato di inimicizia e incomprensione.Essendo la Terra Santa teatro delle dolorose vicende, e ruotando le stesse intorno a Gerusalemme, la “troppo santa” “città della pace”, punto di riferimento spirituale per le tre religioni monoteistiche, l’autore si chiede in che misura, di fronte al clamoroso fallimento della politica, non possano e debbano essere proprio le religioni a cercare un’inversione di rotta, aprendo la strada a un possibile futuro diverso: «È l’ora delle religioni, sono esse che devono intervenire contrastando e correggendo soprattutto le posizioni errate, sia dei politici nazionalisti e integralisti… della destra israeliana al governo, sia dei fanatici – integralisti anch’essi – guerriglieri islamici palestinesi... Entrambi nella Torah e nel Corano vorrebbero trovare ragioni e giustificazioni per combattersi ferocemente e inesorabilmente»
Ma proprio le religioni strumentalizzate da chi vuole la guerra, secondo l’autore, offrirebbero invece gli insegnamenti spirituali atti a trovare percorsi diversi di confronto tra i popoli: «Nei decenni passati molti studiosi (ebrei, cristiani e musulmani) e laici colti avevano indagato sulle radici della guerra e chiarito alcuni fraintendimenti, purtroppo ben diffusi e tuttora presenti… nella lettura della Torah e del Corano. Quegli studi meritevoli del passato andrebbero oggi ripresi per approfondire e ribadire ancor più quanto le religioni abramitiche potrebbero/dovrebbero operare per sostenere e promuovere gli interessi della pace. Soprattutto le religioni monoteistiche – specie ebraismo e Islam – dovrebbero contrastare e demolire i pretestuosi ed errati riferimenti ai testi sacri… per giustificare situazioni di guerra».
Del Verme (noto e raffinato esegeta di Sacre Scritture) immagina due angeli, uno evocante il bene, ossia il desiderio di pace, l’altro il male, ossia la volontà di guerra, e li vede sospesi in volo, mentre cercano, a fatica, di incontrarsi: “Planano nello spazio, si arrestano prima di scambiarsi l’atteso saluto di pace”. Non dice, l’autore, se, nella sua immaginazione, questo “saluto”, alla fine, ci sarà. E poi, mi permetto di osservare, perché questo “saluto” dovrebbe portare alla “metamorfosi”, o alla “resa” di uno dei due? E di chi, poi, dei due? Si tratta, comunque, solo di un’immaginazione, che viene collegata a un’altra, quella della «desiderata riappacificazione di Israele con Ismael, israeliani e palestinesi, due popoli che si combattono da decenni ma che in Abramo loro padre sono fratelli».
Pur non essendo d’accordo con le analisi che Del Verme offre del conflitto mediorientale, nelle sue varie forme, non posso non apprezzare l’onestà dell’impegno morale dell’autore, nonché le interpretazioni dei tasti sacri da lui offerte, spesso suggestive. Quanto al suo auspicio, che le religioni possano e debbano giocare un ruolo concreto nel trovare soluzioni alternative alla guerra, esprimo invece un grande scetticismo. Non ho mai visto, nella storia, un “cattivo” cambiare idea perché un saggio sacerdote, imam o rabbino gli ha detto, in nome di Dio, che stava sbagliando. E poi, è proprio sicuro che le religioni, tutte le religioni, abbiano sempre e solo voluto la pace? C’è scritto questo, e solo questo, nei vari libri sacri? Davvero?
Ma il mio scetticismo non deriva soltanto dal dubbio riguardo al presunto, intrinseco “pacifismo” delle religioni (a parte il fatto che, pur essendo tutte da rispettare, non sono tutte uguali), ma anche e soprattutto dalla constatazione della totale degenerazione che, da almeno mezzo secolo, ha subito la parola “pace”. Una parola che oggi viene usata spesso con significati decisamente poco nobili, quali “resa”, “viltà”, “oblio”, “inerzia di fronte all’aggressione”. Non mi piace, soprattutto, il fatto che tale parola, nell’accezione imperante, confonda sempre l’obiettivo con i mezzi. Una volta appurato che si vuole la pace (e che tutti la vogliano), come la si raggiunge? Basta pronunciare quella parola magica per vederla realizzata? Se, alla parola “pace”, ne sostituiamo altre, quali “diritto”, “giustizia”, “verità”, la magia scompare, e la realtà appare per quella che è: molto complicata e difficile.
Il libro, comunque, va apprezzato, così come vanno segnalate, per il loro acume, la prefazione e la postfazione, rispettivamente scritte da Pasquale Giustiniani e Chiara Ghedini. La Valle del Tempo si conferma un editore di alta qualità e serietà, importante punto di riferimento dell’odierno dibattito culturale.
Francesco Lucrezi, storico