EDITORIALE – Fine di una guerra, inizio di una battaglia
È un sentimento complesso: la speranza, da una parte, che la guerra possa finire presto, gli ostaggi tornare all’abbraccio e alle lacrime dei loro cari; la paura, dall’altra, per il futuro degli ebrei della Diaspora. Tanto l’attentato terroristico contro la sinagoga di Manchester nel giorno di Kippur quanto molti degli slogan letti e ascoltati negli ultimi giorni di manifestazioni propal che hanno agitato l’Italia ci hanno colpiti per partigianeria e veemenza, lontanissimi dalla volontà di pace dietro al quale si nascondono (speriamo) pochi istigatori in malafede seguiti da un grande numero di dimostranti (speriamo) in buona fede ma certamente digiuni delle più elementari nozioni di diritto e di storia del Medio Oriente.
Domani sera comincia Sukkot e, secondo quanto riferito dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, c’è la possibilità che gli ostaggi tornino liberi prima della fine della festa. Questo sul breve periodo. Su quello medio e lungo il piano di piace che porta la firma del presidente degli Stati Uniti Donald Trump prevede la de-radicalizzazione e la ricostruzione della Striscia di Gaza, dando così alla popolazione palestinese una prospettiva di pacificazione e crescita, finalmente libera dal giogo del terrore di Hamas che ha causato guerre, e provocato morte e distruzione senza fine.
Ma se dello scenario mediorientale siamo solo spettatori, in quello diasporico siamo volenti o nolenti parte in causa. L’antisionismo e l’antisemitismo sono ormai due fenomeni indistinguibili: l’odio antiebraico è ormai diffuso e pervasivo, e a noi resta il compito di combatterlo con tutte le nostre energie.
A tutti l’augurio di Chag Sameach da parte della redazione di Moked/Pagine Ebraiche.
Daniel Mosseri