LA NOTA – Alberto Heimler: I miei genitori avevano ragione

Finalmente si intravede una speranza di pacificazione tra Israele e Gaza. Anzi è più che una speranza. Essa nasce da un’iniziativa degli Stati Uniti e non dagli scioperi, dalle urla, dagli slogan, dagli auspici che Israele cessi la guerra, dall’interruzione delle relazioni con Israele, dai boicottaggi, dalle richieste di dichiarazioni di opporsi a Benjamin Netanyahu semplicemente per avere un incarico o un lavoro, dagli inviti alle comunità ebraiche di dissociarsi dal governo di Israele, dai diffusi riconoscimenti formali di uno Stato palestinese inesistente, ecc. Tutte queste manifestazioni di intolleranza, di autoritarismo e di cecità politica non hanno condotto ad alcun risultato, se non a esasperare gli animi e, forse involontariamente, a rafforzare Hamas.
Gli Stati Uniti sono stati gli unici ad aver compreso che la guerra non era fine a sé stessa come molti ancora credono, ma persegue obiettivi politici, in questo caso la liberazione degli ostaggi e il disarmo di Hamas. E gli Usa hanno fatti propri questi obiettivi nei 20 punti del documento del piano del presidente Donald Trump, accompagnandoli a minacce esplicite a Hamas e velate all’Iran (il suo sponsor) che, se Hamas non avesse accettato di condividerlo, la guerra sarebbe diventata ancora più violenta ed estesa, forse ancora verso l’Iran. Hamas, consigliato evidentemente da Teheran, ha accettato di liberare tutti gli ostaggi (in tempi ancora da verificare), di voler procedere al suo disarmo, sia pure apparentemente non totale, e di accettare il passaggio del governo di Gaza a un comitato di tecnocrati supportati dagli Stati arabi moderati. Il grande cambiamento è che Hamas non ha chiesto che Israele si ritirasse da Gaza prima di liberare gli ostaggi, una richiesta che Israele non aveva accettato in passato e che non avrebbe accettato oggi. Un sollievo!
Che errore ha fatto la Cgil a indire uno sciopero generale contro Israele (al di là del problema se si trattasse di uno sciopero legittimo o meno, questione su cui non entro) proprio quando un piano di pace era stato presentato e si attendeva solo la risposta di Hamas per attuarlo; che errore ha fatto la flottilla a non fermarsi riconoscendo che forse mancava solo qualche giorno alla pace e, più in generale, che errore ha fatto la sinistra a pretendere che l’Italia riconoscesse uno Stato palestinese che ancora non esiste, pensando che quella fosse la via per la pace! Si tratta di disastri politici che minano gli sforzi verso una vera pacificazione, rafforzando solo una parte, Hamas, e contribuendo ad allungare il conflitto. Posizioni queste che, e va sottolineato, il nostro governo non ha preso.
Uso il termine pacificazione, non pace, a ragion veduta. L’obiettivo della guerra di Israele contro Gaza era far uscire dalla scena Hamas e sostituirlo con forze moderate. La guerra non poteva concludersi con la semplice pace del “cessate il fuoco” auspicata dalle sinistre di tutto il mondo e purtroppo anche dall’Onu e che invece Israele, non il solo Netanyahu, non poteva accettare, a meno di non volere il ripetersi dell’eccidio del 7 ottobre. Con l’auspicabile uscita di scena di Hamas, il momento della pacificazione e della riconciliazione è adesso finalmente arrivato.
Probabilmente saranno necessarie nuove elezioni in Israele per gestire la fine del conflitto e il negoziato. I partiti di estrema destra della coalizione attualmente al governo in Israele non mi sembrano i più adatti a questo scopo e chi sa che siano proprio loro a lasciare e a mettere il governo in minoranza. Peraltro, la fine della guerra è il momento propizio per indire le elezioni, auspicabilmente prima della data “naturale” fissata al 27 ottobre del prossimo anno.
Da parte mia l’esperienza di questi due anni mi ha fatto capire soprattutto due cose.
La prima è che il mio dissenso di quando i miei genitori votavano i partiti che sarebbero stati più favorevoli agli ebrei è stato riconsiderato. Allora sostenevo che eravamo italiani come gli altri, che l’essere ebrei non aveva rilievo politico e questo principio l’ho rispettato fino a oggi. In questi due anni mi sono però ricreduto. Un esempio per tutti. Quando pochi giorni fa ho sentito urlare “Bari lo sa da che parte stare: Palestina libera dal fiume fino al mare” alla presenza del candidato del Pd alla presidenza della Regione Puglia – e forse anche con la sua partecipazione al grido – mi sono reso conto che in questo caso i miei genitori avevano ragione, perché, da ebrei, desideriamo che lo Stato di Israele continui a esistere e a prosperare e non possiamo identificarci con chi ne auspica la distruzione. Speriamo che nelle prossime settimane i partiti, soprattutto quelli di sinistra, prendano le distanze da queste derive antagoniste e riconoscano l’errore di aver demonizzato il governo di Israele, ignorando gli obiettivi che esso si poneva con la guerra contro Gaza. Inoltre, coloro che sostenevano con malizia, con il tono di chi conosce il mondo, che la guerra continuava per consentire a Netanyahu di evitare i processi a suo carico cosa dicono adesso?
Il secondo insegnamento di questi due anni è invece una conferma. È ormai chiaro che  gli organismi internazionali hanno purtroppo cessato da tempo di avere la funzione di disciplinare il mondo (come io invece ancora spero e auspico) e che gli Stati Uniti, pur con un presidente che colpevolmente ha messo in discussione l’ordine economico mondiale, sono ancora l’unico Stato egemone nei cui valori di fondo (la democrazia liberale) mi posso riconoscere. Le alternative disponibili sono tutte terribilmente peggiori.

Alberto Heimler