IL CONVEGNO UCEI – Deborah Lipstadt: Responsabilità dell’antisemitismo è degli antisemiti

Venticinque anni fa la storica statunitense Deborah Lipstadt conquistava una celebre vittoria nel processo per diffamazione intentatole contro dal negazionista della Shoah David Irving. «Allora pensavamo, in modo forse un po’ naïf, che la negazione della Shoah fosse stata sconfitta. Negli ultimi due anni è apparso chiaro che non è così», ha dichiarato la studiosa, già inviata speciale del Dipartimento di Stato del governo degli Usa per il monitoraggio e la lotta all’antisemitismo, inaugurando il convegno “La storia stravolta e il futuro da costruire” organizzato dall’Ucei nella sede del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel) a Roma. A due anni dai massacri del 7 ottobre, il suo intervento ha fatto riflettere su odio e distorsioni che si sono fatti largo nel discorso pubblico anche italiano. «Ritenevamo che non fosse più necessario spiegare che l’antisemitismo è un problema per tutta la società, eppure c’è oggi chi ritiene che sia giusto o comunque giustificabile. L’antisemitismo è la più lunga forma di odio della storia, un mito cospirazionista», ha proseguito Lipstadt, rilevando come sia del tutto strumentale collegare l’antisemitismo alle scelte condivisibili o meno del governo israeliano. «C’è un solo elemento che genera l’antisemitismo: gli antisemiti».
Lo spazio di apertura del convegno sul tema “Il trauma e la solitudine di Israele” è proseguito con un intervento del docente israeliano Uriya Shavit dell’Università di Tel Aviv, che ha rimarcato come pur tra tante ferite la tela degli Accordi di Abramo non sia stata intaccata dal conflitto, mentre lo storico Ernesto Galli della Loggia si è soffermato sul ritorno nel “dibattito” dell’accusa del sangue e di altri stereotipi volti a irrobustire la mostrificazione di Israele, del sionismo e dell’ebraismo. Sempre in tema di pregiudizio il giornalista Pierluigi Battista ha sostenuto come il 7 ottobre abbia rappresentato la «rivelazione di qualcosa che sembrava sepolto e invece covava sotto le ceneri», mostrando «la grande disfatta della cultura democratica» anche attraverso il silente accomodamento che ha permesso «la premiazione con fascia tricolore dell’antisemitismo dichiarato». Lo storico Claudio Vercelli ha poi relazionato su come il mondo arabo guarda oggi a Israele, al suo diritto all’esistenza e al rapporto con i palestinesi “dal fiume al mare”. La seconda parte della sessione, moderata da Livia Ottolenghi, assessore Ucei all’Educazione, è stata caratterizzata da alcune testimonianze legate all’accademia. Per primo il fisico Emanuele Dalla Torre, professore associato all’università Bar Ilan in Israele, ha espresso l’auspicio che le università italiane tornino a essere «luoghi di dialogo» e mettano da parte l’ideologia che ha corroso dall’interno molte relazioni e prospettive. Il suo collega Aldo Winkler dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma ha passato in questo senso in rassegna i principali episodi di boicottaggio e ostilità promossi tra gli altri dal movimento Bds, definendo questi due anni al tempo stesso «duri» e «stimolanti». Sulla stessa lunghezza d’onda la docente di neuroscienze Raffaella Rumiati, in forza alla SISSA di Trieste, ha spiegato come il clima si sia fatto pesante non solo nei confronti di atenei e docenti israeliani, ma anche «verso chi è estraneo al mainstream del boicottaggio».Ha concluso la mattinata una riflessione di Riccardo Di Segni, il rabbino capo di Roma, sul significato attuale della festa di Sukkot. «La nostra vita è una capanna e non una casa di cemento», ha sottolineato il rav, secondo il quale in Medio Oriente «c’è ora la speranza di una pace solida, ma le prospettive non sono così rassicuranti: purtroppo si ricomincerà, perché la nostra vita è perennemente fragile».