LA POLEMICA – Emanuele Calò: Visitare Auschwitz non basta

Un parlamentare ha sostenuto che «è anche grazie ai viaggi ad Auschwitz se i giovani sono scesi in piazza contro il massacro di Gaza». Anche se è impossibile accettare questa affermazione, nondimeno, essa contiene un sottotesto che andrebbe considerato. Non voglio entrare nel merito del dibattito sulle parole della ministro Eugenia Maria Roccella sui viaggi degli studenti ad Auschwitz, perché tale discussione, sfrondata dai versanti, diciamo, semiotici, potrebbe essere affrontata in modo più sereno, e un intervento a così poca distanza di tempo non mi entusiasmerebbe. Sono consapevole che, nel nostro Paese, è tradizionalmente complicato montare e smontare i termini dei dibattiti, e ipotizzo che perfino Jacques Derrida si sarebbe trovato in difficoltà.
Torniamo, quindi, alla sovrapposizione di Auschwitz e Gaza. Dovrebbe essere scontato – ma è sempre il condizionale a rovinare tutto – che la mera visione del dolore non è sufficiente. Il metodo scientifico riguarda l’itinerario trial & error; nulla ci vieta di percorrerlo, per vedere se possiamo in qualche modo trarre qualche conclusione.
Il dolore non è soltanto quello delle vittime innocenti: possono provarlo anche i boia, gli esecutori, i criminali. Ne consegue che il dolore, da solo, ha un significato fisiologico, al riguardo, i miei ricordi risalgono a una conferenza sull’argomento in una Facoltà scientifica di un altro continente.
Quando diciamo, mostriamo e facciamo sperimentare l’incontro con l’indicibile, ossia, coi campi di sterminio, crediamo di aver comunicato qualcosa, perché noi ebrei abbiamo un retroterra fatto di dati fattuali, elaborazioni intellettuali, completo di letteratura, che dovrebbe partire da Primo Levi a Elie Wiesel, corredato dalla lettura di libri dei grandi autori. Temo che pochi abbiano letto Yehuda Bauer, visto che c’è chi riesce a fargli dire, sicuramente in buona fede (ma è un’attenuante?) l’esatto contrario di quanto ha detto. Yehuda Bauer è sia il miglior autore di tesi sull’Olocausto sia quello più facile da leggere. Supponiamo che i nostri studenti ebrei lo abbiano letto (ma non mi illudo); sicuramente non lo conoscono gli studenti non ebrei, perché nei testi scolastici non è citato.
Ecco: depurata la terribile e lancinante visita ai campi di sterminio da tutte queste letture (non bastano i video e i telefonini) resta soltanto il dolore, e il dolore è tutto uguale, sia quello degli innocenti che quello dei colpevoli. Un’autorevole personalità, riferendosi ai viaggi ad Auschwitz, ha parlato di “percorso educativo”, ma la sola visita non è educativa. Temo che senza la cultura, senza l’istruzione, senza il dibattito, la sola visita ai campi di sterminio sia controproducente. Anni addietro vidi su Facebook delle affermazioni diffamatorie contro Israele. Sono riuscito a trovare il numero di cellulare dell’autore, il quale era un professore di liceo che accompagnava i ragazzi ad Auschwitz, il quale mi disse che aveva stretto amicizia con alcuni superstiti. Toccando (virtualmente) con mano il problema, mi sono formato la convinzione dell’insufficienza della sola visita. Il mio consiglio? Una conclusione va tratta, altrimenti un articolo diventa un deplorevole e mero spiegamento di autocompiacimento: leggete e fate leggere Yehuda Bauer e discutetene.

Emanuele Calò