MILANO – Tra dolore e speranza, la Comunità ebraica commemora le vittime del 7 ottobre

«No time for drama» era il motto con cui Shani Gabay affrontava la vita, ricordano nel silenzio della sinagoga centrale di Milano la madre Michal e la sorella minore Nitzan. Affrontava tutto con un sorriso, cercando di rimanere positiva, spiegano alle centinaia di persone presenti per commemorare i due anni dai massacri del 7 ottobre 2023. Shani, 25 anni, laureata in giurisprudenza, stava lavorando al Nova festival di Re’im quando è stata uccisa dai terroristi di Hamas. La sua storia, ricostruita con dolore e lucidità da Michal e Nitzan, è stata il cuore di una serata «che ci ricorda cosa è stato l’orrore del 7 ottobre», ha osservato il giornalista Maurizio Molinari.
Il presidente della Comunità ebraica di Milano, Walker Meghnagi, ha ringraziato i presenti e in particolare chi non appartiene alla comunità per la partecipazione. «Ma il clima è difficile. Non è possibile che per una commemorazione servano forze dell’ordine dappertutto per proteggerci. Siamo italiani di religione ebraica e dobbiamo essere rispettati per quello che siamo». La serata, ha aggiunto Meghnagi, era stata organizzata prima della firma della tregua e della liberazione degli ostaggi. L’evento «si è trasformato in un giorno di lutto ma anche di gioia».
Un’ ambivalenza ricordata anche dal rabbino capo di Milano, Alfonso Arbib: «Abbiamo vissuto momenti terribili e nello stesso tempo la gioia del ritorno a casa degli ostaggi vivi. Dobbiamo tenerle insieme, queste emozioni. E ricordiamo anche l’importanza di dare degna sepoltura agli ostaggi morti non ancora tornati». Guardando ai due anni trascorsi dal 7 ottobre, Arbib ha denunciato la «scarsa empatia» verso il dolore del mondo ebraico per le stragi di Hamas e ha condannato un antisemitismo «dei buoni», fatto da persone convinte di agire moralmente in difesa dei palestinesi, ma che «resta estremamente pericoloso».
Un appello alla responsabilità è arrivato da Milo Hasbani, vicepresidente dell’Ucei, che ha invitato a trattare con equilibrio le informazioni e i commenti sul conflitto. «La firma della tregua è un fatto positivo, e non può essere sminuita. Chiedo a giornalisti e politici di non andare in televisione a incitare o a sostenere che non si tratti di un vero accordo: non fa bene a nessuno, serve solo ad alimentare l’antisemitismo».
Durante la serata sono intervenuti anche il vicepresidente della Regione Lombardia, Marco Alparone, e la presidente del Consiglio comunale di Milano, Elena Buscemi. Quest’ultima è stata contestata da una parte della platea quando ha ricordato le vittime civili palestinesi e criticato il governo israeliano. La stessa Buscemi ha replicato chiedendo di poter concludere, ribadendo che «la critica al governo Netanyahu non deve trasformarsi in odio verso gli israeliani. L’antisemitismo non è tollerabile». Parole accolte dagli applausi, mentre immediato è arrivato il sostegno di Meghnagi e Hasbani, che hanno preso le distanze dalle contestazioni e ringraziato Buscemi e i rappresentanti delle istituzioni per la loro presenza.
Poi la voce di Nitzan ha riportato i presenti a quella mattina. Alle 6:37 il primo messaggio di Shani alla madre: «Mamma, la terra trema! Ci sono terroristi ovunque». Poi la fuga disperata dal Nova Festival insieme agli amici Ben e Gal, il rifugio colpito dalle granate, la ferita alla gamba e la corsa in auto per cercare di salvarsi. Lungo la strada Shani si ferma, scuote un ragazzo addormentato in macchina e gli urla di scappare: quel gesto, ricorda la sorella, «ha salvato la sua vita». Poco dopo incontra altri giovani e li indirizza verso una via sicura, permettendo a decine di ragazzi di sopravvivere. «Shani non sapeva che stava salvando tante persone», ha raccontato Nitzan.

Uno di quei ragazzi, Nadav Morag, sopravvissuto al festival, era ieri in sinagoga. Con la voce incrinata dall’emozione, ha ricordato di aver visto Shani ferita a terra, circondata da chi cercava di soccorrerla: «Grazie a lei ho capito dove andare». L’ultimo contatto tra la famiglia e la giovane è stato alle 8.53, poi più nulla. «Non era tra i morti riconosciuti, ma tra i dispersi». Per 47 giorni la madre Michal ha pregato che Shani fosse ostaggio dei terroristi. «Era assurdo, ma speravamo che fosse viva a Gaza». Poi la verità, arrivata dalle analisi del Dna: Shani aveva trovato rifugio in un’ambulanza abbandonata insieme ad altre venti persone. I terroristi di Hamas hanno lanciato granate e sparato colpi di RPG contro il mezzo: diciotto ragazzi sono morti bruciati all’interno, solo due sono riusciti a fuggire. A causa del calore, i corpi si erano fusi rendendo impossibile l’identificazione immediata. Shani era stata sepolta per errore con un’altra vittima, fino al riconoscimento definitivo.
Oggi la giovane continua a vivere attraverso “Il filo di Shani”, un’associazione dedicata alla tutela dell’ambiente, degli animali e delle spiagge, e attraverso un’ambulanza che porta il suo nome. «Perché un’ambulanza deve portare la vita, non toglierla», ha concluso la sorella tra i lunghi applausi dei presenti.
Prima della cerimonia, l’Unione giovani ebrei d’Italia (Ugei) ha organizzato un flash mob davanti alla sinagoga con bandiere di Israele e cartelli “welcome back”, per celebrare il ritorno a casa degli ostaggi liberati il 13 ottobre.

Daniel Reichel