MILANO – Università Ebraica, il centenario celebrato al Teatro Parenti

Nel 1921 Albert Einstein confessò al New York Times: «Non c’è stato nessun evento nella mia vita che mi abbia dato maggiore soddisfazione dell’iniziativa di fondare l’Università Ebraica di Gerusalemme». Sarebbero passati altri quattro anni per l’inaugurazione ufficiale, nel 1925. Da allora l’ateneo di Gerusalemme è diventato un punto di riferimento mondiale per la ricerca e l’educazione, e un crocevia di culture, idee e tensioni del nostro tempo.
Il centenario è stato celebrato ieri sera a Milano, non in un’aula universitaria ma al Teatro Franco Parenti, grazie alla scelta della direttrice Andrée Ruth Shammah. «È amaro che nessuna università italiana abbia aperto le sue porte a questa ricorrenza» ha esordito Massimo Recalcati, dando voce a un sentimento di amarezza e preoccupazione. «Viviamo in un tempo segnato da rigurgiti antisemiti e fanatismi ideologici. L’università dovrebbe restare il luogo della luce, il luogo del due: non l’illusione di un solo popolo e di un’unica voce, ma la possibilità di dialogo e di incontro tra differenze».
Aperto dai saluti istituzionali e da un video di presentazione dell’ateneo, l’incontro – moderato da Ferruccio De Bortoli – si è snodato tra ricordi personali e riflessioni sul ruolo dell’Università di Gerusalemme nel panorama internazionale e nella storia del popolo ebraico.

Il rispetto dell’altro
«Il dono più grande ricevuto dall’Università Ebraica è il rispetto dell’altro» ha sottolineato Maurizio Molinari, ricordando come la convivenza tra studenti ebrei, cristiani, musulmani e stranieri non fosse mai un principio astratto, ma un’esperienza quotidiana fatta di studio, di discussioni accese e persino di partite di calcio dure ma sempre concluse con un abbraccio.

Freud e l’“ebreo nuovo”
Del ruolo della psicoanalisi e di Sigmund Freud per l’Università Ebraica ha parlato lo psicoanalista David Meghnagi, ricordando come già negli anni Venti si discutesse di istituire una cattedra di psicoanalisi a Gerusalemme. Freud, accusato in Europa di aver creato una “scienza ebraica”, nella Palestina mandataria divenne invece uno degli autori più letti: «le sue opere circolavano nei kibbutz, discusse nei circoli letterari e sui giornali, come parte del processo di costruzione dell’“ebreo nuovo”».
Un ruolo decisivo lo ebbero anche gli accademici ebrei italiani espulsi dalle università nel 1938: Umberto Cassuto, biblista; Guido Tedeschi, giurista; Giulio Racah, fisico e futuro rettore; ed Enzo Bonaventura, psicologo sperimentale e pioniere della psicoanalisi italiana. «Portarono a Gerusalemme competenze che avrebbero inciso profondamente sul destino dell’ateneo» ha osservato Meghnagi.

Le tredici prime pietre
Chi ebbe un ruolo decisivo nel far nascere l’Università Ebraica fu rav Raffaello Della Pergola, allora rabbino capo di Alessandria d’Egitto. «Mio nonno» ha ricordato Sergio Della Pergola, «fu tra i tredici firmatari dell’atto costitutivo e posò simbolicamente una delle prime pietre. Rappresentava in quel concesto Possiamo dire con orgoglio che c’è anche un pezzo d’Italia alle origini di questa storia».
Il demografo ha intrecciato memoria familiare e personale. Arrivato a Gerusalemme nel 1966 con una borsa di studio, visse alla Casa dello Studente con Ibrahim, «uno studente palestinese, molto nazionalista, ma con cui nacque un rapporto di dialogo e amicizia». Un legame che resistette fino allo scoppio della Guerra dei Sei Giorni, osservata dalla finestra del dormitorio, «la storia vissuta in tempo reale, non solo letta sui libri».
Della Pergola ha ricordato i tre pilastri che, fin dalla fondazione, definiscono il mandato dell’ateneo: «Essere centro di eccellenza accademica, punto di riferimento per il Medio Oriente e università del popolo ebraico». Ma anche un monito: «Oggi la grande sfida è non marginalizzare le scienze umane. Ogni scienziato dovrebbe essere anche un po’ umanista».

Educare e conservare
«Anch’io sono stato studente all’Università Ebraica, più di cinquant’anni fa» ha ricordato monsignor Pier Francesco Fumagalli, presidente dell’Associazione Italia-Israele di Milano. Inviato con una borsa di studio che univa università italiane e istituzioni israeliane, visse al campus di Givat Ram. «Il primo insegnamento che ricevetti – e che porto ancora con me – fu che lo scopo principale dell’università è l’educazione integrale della persona».

Diplomazia accademica
Ha portato la sua testimonianza anche Sergio Barbanti, ex ambasciatore italiano in Israele, che ha definito la sua esperienza nel paese «trasformativa». Il diplomatico ha auspicato di riprendere «il filo interrotto» del vertice intergovernativo saltato a causa dei massacri del 7 ottobre 2023, ricordando come la cooperazione universitaria ne fosse una parte centrale: «Le università sono uno strumento di diplomazia accademica capace di cucire insieme i paesi, preparando il terreno alla pace».

I Rotoli del Mar Morto
Un salto indietro nel tempo è arrivato con Marcello Fidanzio, che ha raccontato la scoperta dei Rotoli del Mar Morto. Nel novembre 1947, l’archeologo Eleazar Sukenik acquistò tre rotoli per conto dell’Università, correndo grandi rischi. «Quei rotoli» ha sottolineato Fidanzio «sono tra i più antichi testi biblici che possediamo, vecchi di oltre duemila anni. E furono portati a Gerusalemme proprio il 29 novembre 1947, lo stesso giorno in cui le Nazioni Unite votavano il piano di spartizione della Palestina». Quel giorno, ha aggiunto, «passato e presente si toccarono: da un lato la nascita dello Stato ebraico, dall’altro il ritorno di una voce antica della tradizione».

Contro il boicottaggio
A concludere la serata è stato lo storico Carlo Ginzburg, con un intervento dal tono polemico e incisivo. Ha respinto con forza ogni appello al boicottaggio delle università israeliane: «Troncare i contatti sarebbe un errore pazzesco, oggi più che mai, di fronte a un antisemitismo crescente».
Ma non ha risparmiato critiche al governo e all’esercito israeliano: «Non possiamo permettere che il presente oscuri il passato, né tacere di fronte a stragi di civili» ha ammonito, riferendosi all’operazione a Gaza.
«Non tutti saranno d’accordo con queste conclusioni, ma è il bello del confronto libero tra accademici» ha chiosato De Bortoli, auspicando di ritrovarsi ancora per festeggiare altri anniversari dell’Università Ebraica.

Daniel Reichel