DIALOGO – Alberto Melloni: «Nostra Aetate aveva tirato un elastico»

Per lo studioso «un cristiano non può pensarsi senza l'ebraismo»

Titolare della cattedra Unesco sul pluralismo religioso e la pace presso l’Università La Sapienza di Roma e di quella di storia del cristianesimo in vari atenei italiani, Alberto Melloni è uno dei più autorevoli storici della Chiesa. Grande esperto delle relazioni tra cristiani ed ebrei, in un dotto intervento sulla rivista di studi geopolitici e dibattito intellettuale Il Grand Continent ha delineato le caratteristiche del “nuovo” antisemitismo, un antisemitismo intriso di antigiudaismo. Come si concilia tutto ciò con la Nostra Aetate? Nel rispondere a Pagine Ebraiche, lo studioso evoca un generale contesto di caducità emerso in questi due anni con chiarezza, perché «il 7 ottobre e tutto quello che è successo dopo ci hanno fatto capire quanta fragilità vi fosse in quella pur nobilissima speranza: si pensò allora che si fosse rotto un vaso di cristallo, che tutto si sarebbe risolto, che ogni pezzo sarebbe andato al posto giusto da sé». E invece «abbiamo capito che la Nostra Aetate aveva tirato un elastico» e che tutto o quasi sarebbe potuto tornare in discussione. Il 7 ottobre, la guerra condotta da Israele a Gaza e su altri fronti, sono stati per molti una rivelazione. «Nel vento della parola genocidio è venuto a consolidarsi un costrutto dogmatico complesso e totalitario, con il genocidio che ha sostituito l’antica accusa del deicidio e il ritorno in auge dell’accusa del sangue. La compassione per civili è stata giusta e sacrosanta, ma quella di Gaza non è certo l’unica guerra nella storia in cui sono morti dei civili», riflette Melloni. Negli ultimi tempi l’antigiudaismo più o meno consapevole è tornato alla ribalta e ciò non sorprende Melloni, perché la chiesa «ci ha messo 400 anni a diventare antisemita e 1500 per guarire». Anche da qui nasce l’incomprensione diffusa del 7 ottobre e «di cosa avesse in mente Hamas: una miniaturizzazione della Shoah, con l’obiettivo di rendere la terra attorno a Gaza una sorta di Bielorussia di fine Ottocento».
Nel 2022, Melloni è stato l’artefice di una mostra a Roma per i 40 anni dell’attentato palestinese al Tempio Maggiore in cui perse la vita il piccolo Stefano Gaj Taché. «Sono impressionato dal clima che si respira in questo momento nella società italiana, mi sembra molto simile a quello che precedette l’attentato del 9 ottobre 1982. Il cattolicesimo romano dovrebbe avere una voce severa», afferma Melloni. E se è vero che «papa Leone XIV non ha concesso l’utilizzo della parola genocidio a nessuno, la sua predicazione sulla pace resta generale: tacciano le armi, parlino i cuori». Servirebbe invece altro, fa capire Melloni: «Bisognerebbe spiegare l’inesattezza filologica del cortocircuito, perché ad oggi c’è chi dice: a Gaza c’è un genocidio, perché Israele è genocida, lo è dal 1948, le vittime sono diventati carnefici, i carnefici sono sionisti». C’è estremismo anche in Israele, anche nelle sue istituzioni, riconosce Melloni. Ma «quel che dicono i vari Ben Gvir, Smotrich e i cosiddetti “giovani delle colline” non sono né il sionismo, né l’ebraismo per come li ho studiati io, ma assomigliano piuttosto a quelle frange evangeliche estremiste lontane dal “vero” cristianesimo: ebraismo e cristianesimo hanno un rispetto sacrale per il ritardo messianico, vivono un vero e proprio culto dell’attesa».
La questione diventa drammatica, sostiene Melloni, «quando come nel più classico degli stereotipi antisemiti si prende qualcosa che non appartiene alla storia ebraica per colpevolizzare collettivamente gli ebrei». Cosa può fare allora il mondo cristiano per contrastare questa deriva, sull’onda anche dell’anniversario e delle riflessioni che stanno scaturendo da più parti? «Continuare a dire con ogni forza possibile che l’incontro, la fraternità e l’ascolto con l’ebraismo sono irrinunciabili, perché un cristiano non può pensarsi senza l’ebraismo». E il mondo ebraico? «Essere al tempo stesso mite e severo, senza dare nulla per acquisito e nulla per perso: l’ebraismo deve parlare e spiegarsi con tutti». In questo senso, prosegue Melloni, «mi ha molto colpito la presenza delle istituzioni ebraiche italiane e romane al funerale di papa Francesco, malgrado lo Shabbat: gli ebrei non devono perdere contatto con la chiesa, anche solo per rilevare che no, non ci siamo capiti». Secondo Melloni, «se questo legame dovesse rompersi, se l’ebraismo italiano arrivasse a sentirsi abbandonato, sarebbe un danno enorme per tutto il paese».

Adam Smulevich