ROMA – Hamos Guetta e il vocafilm: dare voce alla memoria
 
						Roma, 16 ottobre 2020. In una chat WhatsApp di parlanti giudaico-romanesco, le notifiche si accendono una dopo l’altra. Nessuno lo ha proposto, ma tutti finiscono per parlare dello stesso tema: il 16 ottobre 1943, giorno della razzia del Ghetto di Roma.
«Erano voci vere, registrate in casa, senza filtri né intenzioni artistiche», racconta Hamos Guetta, ideatore del gruppo. Le ascolta, le immagina dentro un racconto, poi le raccoglie, le ordina e le accompagna con immagini della città: muri, portoni, sampietrini, il Tevere. «Tutti i luoghi che hanno visto la tragedia del 16 ottobre e sono evocati dalle voci narranti».
Così nasce Una farfalla sui sampietrini, un “vocafilm”, come lo definisce Guetta, costruito sulle «memorie autentiche, raccontate in modo spontaneo, nella lingua di casa».
Presentato di recente al Pitigliani di Roma, il progetto «ha avuto un ottimo riscontro e ne sono contento. Ci ho messo molto a farlo, sono stato puntiglioso e ne è valsa la pena. Dicevo a tutti: se non vi piace, vi pago un biglietto per Tel Aviv. E non ho dovuto farlo per nessuno», scherza Guetta.
Il vocafilm
In tanti gli chiedono cos’è un “vocafilm”. «È un film costruito a partire da voci reali», spiega. «Tutto nasce da note vocali, da parole dette con spontaneità. Io raccolgo quelle voci, le monto e poi ci metto sopra delle immagini. È cinema fatto di suoni, non di copioni».
L’origine del progetto risale al lockdown, in un periodo di isolamento collettivo. «Mi sono reso conto che c’era tanta gente sola, specialmente gli anziani», ricorda. «Io sono sempre stato attivo sui social, ma vedevo che quasi tutti scrivevano soltanto. Così ho pensato di creare una chat dove fosse obbligatorio solo parlare. Niente testo, niente immagini. Solo voce».
La prima chat nasce in giudaico-arabo e in particolare nel dialetto parlato dagli ebrei di Libia. «Io sono tripolino e ho scoperto che nel mondo c’erano ancora tantissime persone che parlavano il giudaico-arabo. Ogni giorno arrivavano cento, centocinquanta messaggi vocali. Era una compagnia quotidiana: ognuno parlava con un’intimità incredibile, come tra fratelli e sorelle».
Da lì il progetto si allarga: una chat per gli ebrei ungheresi, e infine una in giudaico-romanesco, realizzata con l’aiuto del linguista Alberto Pavoncello. «Le prime note vocali sono diventate virali: comiche, irresistibili. Poi abbiamo creato un gruppo ristretto, i Giudaico Parlanti, dove si poteva partecipare solo se si parlava davvero la lingua. Da lì ho raccolto centinaia di voci».
Dalle chat ai film
Quelle registrazioni spontanee diventano presto materiale narrativo. Guetta inizia a montarle in brevi video tematici – sui proverbi, sui soprannomi, sui modi di dire – dove la lingua e la voce diventano protagoniste. «La voce è tutto: racconta chi eravamo», spiega.
Da quella esperienza quotidiana nasce l’idea di trasformare una conversazione in un racconto cinematografico. «Il 16 ottobre 2020, tutti nella chat hanno cominciato a parlare della razzia. Le voci erano toccanti, vere. Davanti a una telecamera uno tende a recitare, ma in una chat tra amici parla con il cuore».
Quel materiale diventa la base di Una farfalla sui sampietrini. «Non volevo mostrare persone. Volevo far ascoltare le loro voci, ma mostrando Roma: i muri che hanno visto la storia, i luoghi che hanno assistito a ciò che è accaduto».
Dopo la proiezione al Pitigliani, l’obiettivo è portarlo in giro per l’Italia. «Chi è interessato, basta che mi contatti. Il mio è un format che non ho mai visto nemmeno io. L’ho inventato quasi per caso e l’ho costruito su un elemento: le voci spontanee delle persone. Voci da ascoltare e scoprire».
d.r.