L’INIZIATIVA – L’eredità di Yitzhak Rabin, 30 anni dopo
A 30 anni dal suo assassinio per mano di un giovane fanatico, quale è oggi l’eredità politica e morale del due volte primo ministro israeliano Yitzhak Rabin?
Se ne parlerà martedì 4 novembre alle 17.30, nel corso di un webinar del Parlamento Ue organizzato dalla sua vicepresidente italiana Pina Picierno a partire dal libro E sceglierai la vita. Guerra e pace lungo le strade di Yitzhak Rabin (ed. Minerva) di Adam Smulevich, giornalista di questa redazione.
Oltre all’autore interverranno Yuval Rabin, il figlio di Yitzhak, e la cantante Achinoam Nini in arte Noa, esibitasi sull’ultimo palco di Rabin pochi minuti prima del suo omicidio. L’evento, moderato dal giornalista Paolo Conti, sarà trasmesso in streaming sul canale YouTube del Parlamento Ue e sul sito del Corriere. Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo un brano dal libro:
Vivono tra le pietre della “casa dei vivi” sul monte Herzl le decisioni sofferte alle quali fu chiamato il soldato Rabin. Gerusalemme era la sua città natale: qui era venuto al mondo il primo marzo del 1922 da Nehemiah Rabin e Rosa Cohen. Entrambi di origine est-europea, si erano conosciuti nel 1920 nella Città Vecchia durante una delle prime rivolte arabe. Rosa era nata a Mogilev nell’attuale Bielorussia ed era arrivata in Palestina a bordo della Roslan, nave simbolo della terza “aliyah”. Non aveva un particolare fervore sionista, anzi. Ma durante una visita ad alcuni parenti, nel 1919, decise di fermarsi qui e vivere per un po’ in un kibbutz. Nehemiah era nato a Smidovich, un villaggio nell’attuale Ucraina. Da Gerusalemme la coppia con figlio si trasferì a Tel Aviv, dove il piccolo Yitzhak frequentò una scuola elementare d’impronta socialista (Beit Hinuch Leyaldei Ovdim) di cui la madre era stata tra le fondatrici. Rosa era una donna di personalità e slancio radicale, conosciuta come “Rosa la rossa”. Anche il marito ebbe quella che è stata descritta come «una ardente fede socialista». Nel 1925 il nucleo familiare si allargò con la nascita di Rachel, la sorellina di Yitzhak. Beit Hinuch fu una scuola sia teorica sia pratica, educando i suoi studenti al lavoro manuale e alla fatica nei campi. La stessa filosofia del movimento giovanile Hanoar Haoved in cui Rabin proseguì la sua formazione, di matrice laburista anch’esso. Per il volitivo Yitzhak il successivo approdo fu la scuola agraria di Kadoorie, in bassa Galilea, una delle eccellenze dell’Yishuv (l’insediamento ebraico nella Palestina prima ottomana e poi inglese). Studente brillante, nel 1940 ottenne il diploma ed ebbe la possibilità di proseguire i suoi studi in Ingegneria idraulica all’università di Berkeley, in California. Ma il suo amico Yigal Allon, al quale affiderà un giorno l’incarico di ministro degli Esteri, lo convinse che la difesa dell’Yishuv fosse la priorità. E così Rabin, che aveva già difeso la scuola dagli attacchi dei villaggi arabi circostanti, invece di partire per gli Usa prese la strada del kibbutz Ramat Yohanan per il suo primo periodo di addestramento finalizzato a quel supremo obiettivo. Lo dirà anche alla cerimonia del Nobel: «All’età in cui l’amore sboccia, a sedici anni, mi è stato dato un fucile per difendere la mia vita. E per uccidere in caso di pericolo». Sono giorni decisivi, campali. E così, mentre in Europa il nazismo mette a punto la “soluzione finale” per risolvere il “problema ebraico” nelle camere a gas, l’adolescente Rabin sceglie di arruolarsi nel Palmach, neonato corpo di combattimento dell’Haganah. Il Palmach affiancherà gli Alleati nella difesa della libertà e della democrazia anche in Medio Oriente. Con qualche necessario adattamento alle circostanze perché nel maggio del 1939 gli inglesi, dopo una prima fase di relativa benevolenza verso l’emigrazione ebraica, avevano pur sempre introdotto una serie di restrizioni (Libro Bianco) che di fatto condanneranno alla morte molti ebrei impossibilitati alla fuga dal Vecchio Continente. I provvedimenti furono presi proprio per via di quei sempre più frequenti tentativi di sbarco, in un momento di violenza araba dilagante nei territori del Mandato. E quindi fu stabilito: «Combatteremo in guerra come se non ci fosse nessun Libro Bianco, combatteremo il Libro Bianco come se non ci fosse nessuna guerra».