EDUCAZIONE – Conoscere l’ebraismo, presentate le 16 schede Ucei-Cei

Noemi Di Segni: «Un frutteto da coltivare»

La famosa crisi del settimo anno non c’è stata. È anzi il momento della “collaboranza”, neologismo che deriva dalla fusione tra i termini “collaborazione” e “alleanza”. Lo ha evocato Livia Ottolenghi e accanto a lei sorrideva soddisfatto don Giuliano Savina, rispettivamente assessore all’educazione e ai giovani dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Ucei) e direttore dell’ufficio nazionale ecumenismo e dialogo interreligioso della Conferenza Episcopale Italiana (Cei), che assieme hanno presentato le “Sedici schede per conoscere l’Ebraismo” realizzate da Ucei e Cei per una corretta conoscenza e trasmissione dell’ebraismo nelle scuole.
Nel settimo anno da quando i primi semi del progetto sono stati piantati, un incontro a Palazzo Borromeo, la sede dell’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, ha permesso di fare il punto sull’arco finora percorso e sugli obiettivi futuri. «Un momento commovente, è come trovarsi in un frutteto dopo aver partecipato alla semina», ha dichiarato in apertura di serata la presidente Ucei Noemi Di Segni, sottolineando come il frutteto non sia la meta ma uno spazio di «duro lavoro» per proseguire l’opera, finalizzato al raccolto e alla distribuzione a valle. E quindi orientato alla sfida di «far ramificare questi frutti e approfondire le radici», perché l’antisemitismo si fonda sull’antigiudaismo e ciò, ha ricordato Di Segni, si riflette anche nel modo in cui si racconta Israele. «Il dialogo esige la conoscenza dell’altro», aveva detto prima di lei il vescovo Derio Olivero, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo. In tal senso il suo pensiero è che «la frequentazione delle schede potrà aiutare gli studenti ad allargare i propri orizzonti per arricchire la propria identità, nel pieno rispetto dell’identità altrui».
La serata, introdotta da Francesco Di Nitto, ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, è proseguita con due sessioni moderate da Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della Cei e rav Ariel Di Porto, membro del Consiglio dell’Assemblea Rabbinica Italiana (Ari) e della Consulta Rabbinica.
Nella prima, Ottolenghi e Savina si sono soffermati su “Il metodo italiano” alla base di questo sforzo congiunto. Nella seconda, intitolata “Una buona prassi per la corretta conoscenza dell’ebraismo”, hanno preso la parola l’arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, Matteo Maria Zuppi, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, e il rabbino capo di Milano e presidente dell’Ari Alfonso Arbib. «Stiamo attraversando momenti di storia difficili, ma il dialogo fraterno è l’unica via», ha affermato Zuppi. «L’amicizia vera non ignora le difficoltà, ma le affronta. Non bisogna mai abbassare la guardia sull’antisemitismo», ha proseguito il presidente della Cei. Quando il lavoro sulle schede ha preso il via «l’antisemitismo c’era, ma oggi è un problema drammatico», ha rilevato Arbib, collegato a distanza. «Torna anche nel mondo cattolico, tocca in particolare i giovani. Queste schede sono uno strumento utile per affrontarlo, per combattere le falsità e andare al di là dell’apparenza». Per Di Segni «c’è bisogno di ricominciare» e di lavorare sulla conoscenza, valorizzando un’identità ebraica positiva. In quest’ottica, «abbiamo capovolto un sistema e aperto alla necessità di educare e formare» per rendere i cristiani più consapevoli sull’ebraismo e quindi su quelle che «sono le loro radici».

Adam Smulevich